Eutanasia è una di quelle parole che spesso si decide di omettere. Perché? Perché linguisticamente ha un significato ben preciso ma nell’uso comune diventa una parola che assorbe opinioni e, spesso, superficiali modi di affrontare la questione che ne fanno quasi un tabù. Una parola antica che come la maggior parte delle parole che fanno parte della nostra cultura, proviene dal greco ed è l’unione, quasi ossimoro, di due termini forti: bene e morte. Una parola che solleva non poche polemiche, che richiama storie non troppo remote e sempre difficile da collocare proprio perché scomoda.
I modi superficiali con cui spesso l’eutanasia viene affrontata, si sprecano. Come si può infatti appellare chi è a favore di una legalizzazione dell’eutanasia come movimento pro-morte? Il problema che spesso sta alla base del mancato raggiungimento di un accordo di opinioni, sta proprio qui, nel definire male la questione stessa. Non si tratta infatti di essere a favore della morte, tutt’altro. Si parla di libertà di scelta come l’oncologo Umberto Veronesi precisa: “Vivere è un diritto, non un dovere: ognuno dovrebbe poter smettere quando vuole“.

Eutanasia nel linguaggio filosofico antico serviva a indicare la morte tranquilla e naturale, “accettata con spirito sereno e intesa come il perfetto compimento della vita” (definizione tratta dal vocabolario online Treccani, ndr.). Il perfetto compimento della vita è la morte ma una morte dignitosa, degna cioè di quella vita che si sta lasciando, terminando. È sulla dignità di chi affronta la morte che bisogna concentrarsi. Qualche giorno fa in occasione di un confronto pubblico sull’eutanasia promosso a Palazzo Marino dall’Associazione Luca Coscioni e dal comitato promotore ‘EutanaSiaLegale‘, Umberto Veronesi si è soffermato proprio su questo.

L’oncologo di fama mondiale ha richiamato alla memoria un caso che in pochi possono scordare, quello del compianto regista Mario Monicelli. La brutalità della notizia aveva lasciato molti senza parole: come può un uomo di quell’età decidere di suicidarsi gettandosi dalla finestra? Veronesi ricorda: “Un finale ignominioso per un uomo di cultura, che ha finito la sua vita in una pozzanghera di sangue. Questa non è una forma di civiltà“. Un uomo di 95 anni che nella malattia, nella sofferenza, nel dolore, così come tanti, ha adottato l’unica alternativa che fa rabbrividire: il suicidio. Secondo una recente indagine dell’Associazioni Luca Coscioni in Italia si sarebbero verificati 10.000 suicidi e altrettanti tentati suicidi. Numeri che confermano le parole di Veronesi: “Le terapie palliative sono sicuramente un forte sollievo, ma non sempre sono sufficienti. Il dolore di una persona che ha un tumore in stato avanzato non è solo fisico: c’è la sofferenza che viene dal senso di abbandono, di solitudine, di emarginazione. Qualcosa che spinge a chiedere di chiudere la propria esistenza. E’ una condizione umana certamente eccezionale, ma frequente“. La frustrazione di essere un peso per chi ti assiste, la frustrazione di sapere che non passerà. Ogni giorno.

Ci sono due tipologie di eutanasia: una passiva e una attiva. Cosa significa? Nel primo caso la morte viene ottenuta con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita. Nel caso invece di una eutanasia attiva, la morte viene causata dalla somministrazione di farmaci atti ad affrettare e procurare quindi la fine della vita. Un altro aggettivo che spesso si sente accostato a eutanasia è “volontaria“: la differenza la fa il paziente quindi se autorizza o richiede il trattamento. Questi elementi vengono sviscerati poi dalla legge. Il primo Paese al mondo ad aver legalizzato l’eutanasia è stata l’Olanda: dal 2001 consente eutanasia e suicidio assistito. Secondo il Centre d’information sur l’Europe sono quattro i Paesi che hanno legalizzato il suicidio assistito e l’eutanasia attiva: Svizzera, Olanda appunto, Belgio (dal febbraio 2014 anche ai minori), Lussemburgo. E nel mondo? In Cina ammessa negli ospedali, in Colombia fin dal 1997 e in Giappone. Negli Stati Uniti l’Oregon è lo stato più permissivo e tollerante se si pensa che ha esteso il suicidio assistito anche in caso di depressione dei pazienti dal 1997. Vermont, Washington, Montana seguono seppur con piccole differenze, l’esempio dell’Oregon.

In Canada non c’è una vera e propria legislazione ma varia da provincia a provincia. Ma è in Europa che davvero si registra un’altalena giuridica: in Spagna così come in Francia e Svezia non è ammessa l’eutanasia attiva mentre in Germania dal 2010 è ammessa l’eutanasia passiva e l’eutanasia attiva è accettata se è chiara la volontà del paziente, pur non essendosi una legge ad hoc. In Gran Bretagna perseguibile penalmente. In Svizzera sappiamo che l’eutanasia è concessa anche agli stranieri, basti ricordare il caso che aveva incendiato gli animi, quello di Eluana Englaro. In Italia la situazione è la seguente. Il 13 settembre 2013 è stata depositata alla Camera una proposta di legge di iniziativa popolare, firmata da quasi 70 mila cittadini, per l’eutanasia legale e il testamento biologico, altro punto al quale il professor Veronesi tiene molto. Il testo è stato sottoscritto da 17 parlamentari ma poi la situazione si è incredibilmente arenata. A febbraio il presidente Giorgio Napolitano era tornato sulla questione sottolineando come l’ignorare una così impellente richiesta fosse inopportuno. Quello che è stato ribadito a Milano, presenti oltre a Veronesi, Vittorio Feltri e Marco Cappato dei Radicali, è semplicemente creare un dibattito sul tema, lasciando poi il Parlamento “libero di affrontarlo davanti all’opinione pubblica“.

Eros e thanatos. Accettare la morte non è facile quando inaspettata, ingiusta, prematura. Così come non è facile accettare la malattia. Quanto allora può essere difficile accettare una malattia che ti porterà alla morte certa, lenta e sofferta? Avere il destino già scritto e leggerlo in faccia a chi ti circonda ogni giorno? Si tratta solamente di aprire uno spiraglio verso un diritto. E non si può liquidare la tematica con la scusa che in Italia c’è il Papa. Lo Stato deve essere garante dei nostri diritti. Anche di quelli dei malati terminali che vorrebbero fare una scelta degna della loro persona. Si può essere favorevoli o contrari. Ma deve esserci la possibilità di scegliere.

[Fonte cover: www.lettera43.it]