C’era una volta il cittadino tipo, arrabbiato con il proprio Governo per le ragioni più disparate. Imprecava tra le mura domestiche, scioperava manifestando il proprio dissenso, si indignava e, al caso limite, imbrattava i muri della propria città con minacce e ingiurie. Nell’era dei social il muro dove manifestare il proprio dissenso e renderlo pubblico è quello di Facebook, dove l’eco delle proprie imprecazioni può raggiungere milioni di persone e, spesso, anche le orecchie dei governanti vilipesi. La domanda viene spontanea: e la privacy?
Il legame tra Facebook e i governi di tutto il mondo sembra assumere sempre più i connotati di una relazione stabile e continuativa, con un feeling crescente che vede le richieste da parte degli enti governativi sui contenuti postati e sui loro autori sempre più frequenti e pressanti. Da Menlo Park, ogni sei mesi giunge un nuovo aggiornamento del trasparency report, in cui Zuckerberg & co. si limitano a comunicare il numero di richieste di rimozione dei contenuti. Negli ultimi sei mesi del 2014 sono 35.051 le indagini avviate dai governi su una popolazione del social network di 1,3 miliardi di utenti. Sei mesi prima sono state 34.946.
Il governo americano, dati alla mano, si configura ad oggi come l’ente ufficiale maggiormente interessato all’accesso dei dati privati degli utenti (con 14.274 domande effettuate) e per converso, quello meno rispettoso della serie di normative che regolano la privacy. Un primato facilmente prevedibile. Guardando in casa nostra, invece, le richieste di accesso durante il 2014 sono state 3643 ed hanno riguardato 5354 utenti. Il dato alquanto singolare è che tutte queste segnalazioni si sono tradotte in un’unica ordinanza emessa da un tribunale riguardante un contenuto il cui accesso è stato sottoposto a restrizioni per “incitamento all’odio”.
Le regole su cosa sia lecito o no postare su Facebook non sono sempre state chiare, così il social più utilizzato al mondo è corso ai ripari aggiornando le proprie linee guida per precisare quali forme di espressione sono accettate e quale tipo di contenuti può essere segnalato o rimosso. “Desideriamo che le persone si sentano sicure quando usano Facebook” si legge chiaro nella prefazione. Proprio in tal senso vengono approfondite quali sono le norme da seguire in merito a post a sfondo sessuale, violento, razzista, in merito al bullismo, su attacchi a personaggi pubblici e su una serie di altri punti le cui sfumature, fino ad oggi, sarebbero potute essere sicuramente più di cinquanta.
Facebook e il terrorismo
“Non è consentito minacciare in modo verosimile altri utenti, né organizzare atti di violenza reali. Alle organizzazioni con precedenti di terrorismo o attività criminali violente non è consentito mantenere una presenza sul nostro sito. Inoltre, è fatto divieto di promuovere, organizzare o festeggiare qualsiasi azione personale che abbia comportato o che possa comportare danni economici, compresi furto e atti di vandalismo”.
Capitolo bullismo
“Facebook non tollera atti di bullismo o molestie. Consentiamo agli utenti di esprimere liberamente le proprie opinioni su persone e argomenti di interesse pubblico, ma prenderemo provvedimenti in caso di segnalazione di comportamenti offensivi nei confronti di singoli individui. Il ripetuto invio agli altri utenti di richieste di amicizia o messaggi indesiderati è una forma di molestia”.
Sull’incitamento all’odio
“Facebook non consente i contenuti che incitano all’odio, ma attua una distinzione tra contenuti seri e meno seri. Se da un lato incoraggiamo gli utenti a mettere in discussione idee, eventi e linee di condotta, non consentiamo la discriminazione di persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione, sesso, orientamento sessuale, disabilità o malattia”.
Resta da capire, ora, quale sia il limite per un normale rapporto di collaborazione tra social e forze dell’ordine, quale sia il limite tra ingerenza e rispetto della privacy da parte dei governi. Naturalmente il dibattito sulla sicurezza dei nostri dati personali e su Facebook in particolare, terrà banco ancora a lungo a livello globale: chi, quando e come si stabilirà cosa è più indispensabile? Perché se da una parte è sacrosanto “rimuovere i contenuti, disabilitare gli account e collaborare con le forze dell’ordine qualora si ritenesse reale l’eventualità di seri rischi di danno fisico o minacce dirette alla sicurezza pubblica”, dall’altra sarebbe quantomeno opportuno pensare che le conversazioni che si tengono su Facebook riflettono la diversità di una comunità di oltre un miliardo di persone.
Ad oggi, i responsabili di Facebook si sono comunque ben guardati dal chiarire fino in fondo quante e quali richieste governative abbiano ricevuto il permesso all’accesso e, soprattutto, quale sia stato il reale impiego dei dati sensibili in possesso di enti governativi.
Facebook e privacy, in fin dei conti, non appare proprio un connubio perfetto. Anzi molto spesso questi due termini appaiono veri e propri ossimori, quasi a ricordarci che Orwell non avesse tutti i torti.
[Cover source: ibtimes.com]