“È stato un anno meraviglioso. Grazie per aver contribuito a renderlo tale.” Il ritornello che campeggia sulla timeline di Facebook e che ci invita a rivivere il nostro 2014. Siamo sicuri, però, che tutti abbiano voglia di rivivere l’anno appena trascorso? È giusto affidare a un algoritmo così grossolano ciò che dovrebbe essere affidato solo al nostro cuore?
La matematica si annida nella quotidianità, ogni azione che facciamo è frutto di un preciso algoritmo. Lo diceva Luca Pacioli, celebre matematico ed economista del Rinascimento, allievo di Piero della Francesca, amico di Leonardo da Vinci e ambito precettore in tutte le corti e le Università del tempo. Ogni successione di movimenti non è casuale ma governata dalla matematica, appunto: decide quelle che saranno le nostre azioni, ci fa compiere una scelta piuttosto che un’altra e pervade la realtà di tutti i giorni. A partire da quelle azioni che facciamo in automatico come lavarci i denti, fare la doccia, preparare un caffè, parcheggiare l’auto. Tutte riconducibili ad un algoritmo. Pensieri e studi che si possono ritrovare all’interno del manoscritto De viribus quantitatis, dove Pacioli analizzò la forza dei numeri e la loro presenza fondamentale nella vita quotidiana.
Ciò che, probabilmente, sfugge alla matematica e agli algoritmi sono, però, i sentimenti. La nostra emotività stravolge le nostre decisioni e influenza le nostre scelte, trasforma attimi della nostra esistenza in momenti da ricordare o in episodi da dimenticare. Proprio quello di cui l’algoritmo di Facebook, desideroso di farci rivivere il nostro “meraviglioso” anno, non ha tenuto conto. Così capita che ci si ritrovi a percorrere momenti tristi o con persone che non sono più accanto a noi: una litania che i programmatori di Facebook avrebbero potuto evitare a tanti, o almeno a tutti quelli che aspettavano solo di lasciarsi alle spalle questo 2014. Proprio com’è capitato ad Eric Meyer, blogger e consulente di web design di Cleveland (Ohio) , che all’inizio del 2014 ha perso tragicamente sua figlia Rebecca per un tumore al cervello, il giorno del suo sesto compleanno. La cartolina di Facebook non ha fatto a meno, però, di proporgli la sintesi del suo “meraviglioso” anno, presentandogli in copertina proprio la foto di Rebecca contornata da figure danzanti e festose.

“Questa involontaria crudeltà dell’algoritmo è il risultato di un codice che funziona nella stragrande maggioranza dei casi, ricordando alle persone i meravigliosi momenti che hanno vissuto durante l’anno: mostra i loro selfie alle feste, le balene fotografate durante un viaggio in barca a vela o la spiaggia all’esterno della loro casa delle vacanze. Ma per quelli tra noi che hanno subito la perdita di persone care, o che hanno trascorso molto tempo in ospedale, o che sono stati colpiti da un divorzio, dalla perdita del lavoro o chissà che altro, forse potrebbero non voler volgere un altro sguardo all’anno passato.”
Così ha stigmatizzato tramite il suo blog Eric Meyer: un algoritmo sconsiderato. Un progetto destinato all’utente ideale, felice, ottimista, che ha avuto la fortuna di vivere un anno da ricordare. Un’idea che non mostra sensibilità. E se da una parte è comprensibile che un algoritmo non sia dotato della giusta dote di umanità, non può essere altrettanto per chi quegli algoritmi li progetta.
In un’analisi critica ma costruttiva, Meyer propone tramite il suo blog una serie di aggiustamenti in ottica di un design empatico:
“Giusto per suggerire due correzioni evidenti: in primo luogo, non pre caricare una foto fino a quando si è sicuri che l’utente voglia realmente vedere le immagini del proprio anno. In secondo luogo, piuttosto che propinare direttamente l’applicazione alle persone, magari chiedere loro se vogliano provarne un’anteprima – solo un semplice sì o no. Se dicono di no, chiedere se vogliono che si rimandi la decisione a più tardi, o a mai più. E poi, naturalmente, rispettare le loro scelte.”
Pronta la risposta di Jonathan Gheller, product manager della funzione di Facebook “L’anno di…”, che attraverso il sito del Washington Post ha raccontato di aver contattato Meyer e di essersi personalmente scusato con lui per il dolore procurato dalla visione dell’anteprima dell’anno appena trascorso. “Questa funzione è stata incredibile per un sacco di persone ma in questo caso, chiaramente, abbiamo causato più dolore che gioia”, ha riferito Gheller al Washington Post annunciando al contempo lo studio di alcuni miglioramenti per il prossimo anno che terranno in conto i suggerimenti di Meyer.
La spiacevole vicenda del blogger statunitense ha trovato la solidarietà di tante persone da ogni parte del mondo, persone che si sono imbattute in stati d’animo molto simili o che più semplicemente si sono mostrate empatiche nei confronti di chi ha avuto un anno meno fortunato. Chi l’ha detto, poi, che i momenti più belli siano presenti su Facebook? Quanti davvero pensano a condividere una foto o un post sui social nei momenti più emozionanti della propria vita? Siamo davvero diventati degli automi capaci di ridurre tutto a una banale condivisione su una piattaforma web? Personalmente, sono convinto che tutti questi interrogativi abbiano ancora un’unica risposta che vada nel senso di una condivisione umana piuttosto che social, una condivisione di sentimenti che avvenga istantaneamente con le persone che amiamo e che sono attorno a noi nel momento in cui quelle emozioni le viviamo. Che siano episodi felici o meno felici. Perché anche quelli sono da condividere ma non su Facebook.
[Cover source: robadadonne.it]