Non tutti sanno che il titolo originale del Fast and Furious primordiale – The Fast and The Furious – deriva da un film scritto da Roger Corman nel 1955 e diretto e interpretato da una vecchia gloria – oggi quasi del tutto ignota – come John Ireland. Le due opere, titolo (con quei The che sanno di duello rusticano) e soggetto a parte, hanno in realtà ben poco in comune. Quello che però Rob Cohen, regista, e la produzione del primo F&F datato 2001 non potevano sapere è che quel lungometraggio avrebbe dato il via a una saga che avrebbe totalizzato oltre 3 miliardi e mezzo di dollari di incassi, divenendo – a suo modo – un inconfondibile cult.

Un esordio, come già detto piazzato agli albori dei 2000, considerevolmente segnato da due volti e due figure completamente agli antipodi tra loro, almeno sul piano visivo, ma che mostrano un affiatamento più che discreto: Mark Vincent Sinclair III – che il mondo conosce oggi come Vin Diesel – e Paul William Walker IV, per tutti Paul Walker (e infine, solamente Paul). I due, scuro e di NY l’uno, biondo e di L.A. l’altro, diventeranno grandi amici. Il destino, come si sa, è strano e nel caso dell’incrocio tra Paul e la saga che gli avrebbe consegnato (involontariamente e ineluttabilmente) schegge di immortalità, non fa eccezione. Prima del ciak d’apertura del primo F&F, la produzione aveva adocchiato tre giovanotti che avrebbero poi fatto abbondante strada: Mark Whalberg e Christian Bale il provino lo fecero pure, Eminem (proprio quell’Eminem) rimase solo una pazza idea (neanche tanto poi, visto il buon risultato di 8 Mile l’anno dopo). Spazio allora al biondino con gli occhi di ghiaccio che Cohen aveva già diretto in The Skulls e che tempo prima, appena diciottenne, era stato reclutato per la mitologica soap Febbre d’amore.

Fast & Furious (2001)
Fast & Furious (2001)

Il successo dell’originario Fast and Furious è immediato e il film diventa immanentemente un cult tamarro. Roba come il NOS diventa di pubblico dominio, i discutibili (visti oggi) occhiali da sole dei protagonisti divengono un must, la posa in auto di Vin e Paul, col braccio poggiato sul bordo della macchina, uno status symbol. Verrà eguagliato nel tempo da altre opere, da quelle di Michael Bay allo stesso Diesel (xXx è forse la pellicola regina delle tamarrate) ma l’eredità lasciata dalla saga nata nel 2001 all’universo leggero, entusiasta e pompato dei tamarri è indiscutibile. A maggior ragione se si da poi uno sguardo ai nomi che compongono le soundtrack dei sette episodi che si sono successi in questi quindici anni: da Lil Wayne a Ludacris, da Busta Rhimes ad Ashanti, dagli immancabili Pitbull e Sean Paul a Danza Kuduro (ve la ricordate?), è un tripudio di hip-hop e ritmo latino.

Paul Walker (Fast & Furious 6)
Paul Walker (Fast & Furious 6)

Sì, però voi intellettuali rampanti e militanti, datevi una calmata e guardate cosa è diventato Fast and Furious: non serve necessariamente conoscere a menadito l’intera serie, non scevra tra l’altro di capitoli orripilanti (il quarto, Solo parti originali, è peggio di Fantozzi 2000). Basta considerare il concetto di trascendenza. Perchè l’ultima sequenza di Furious 7, imbottita di CGI e della magia eterea e ormai digitale del cinema, è una delle più riuscite degli ultimi tempi. Ci sarà Furious 8, che sarà il principio di un’altra trilogia, ma il finale del settimo capitolo (che per inciso, da solo ha superato il miliardo di incasso globale), così poco legato allo sviluppo del film e così tragicamente allacciato alla realtà, col trascendentale c’entra decisamente qualcosa.

Un po’ come oggi, nel calcio frenetico e corrotto dei nostri tempi, è arduo trovare tracce di poesia e romanticismo (straordinarie, perchè sempre meno), è altrettanto difficile individuarle in quello che avrebbe dovuto rappresentare solo un grintoso action estivo, ma che si è trovato nella condizione di divenire, nel suo apice (e forse alla sua fine) un’enorme dichiarazione d’amore. Che ha il ritmo del brano di Wiz Khalifa e Charlie Puth. E che ha il volto di Pauline, la secondogenita di Vin Diesel, in omaggio all’amico dagli occhi di ghiaccio.

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