Sono ormai sei anni che stiamo attraversando una delle peggiori crisi economico finanziarie di sempre e purtroppo la ripresa è ancora molto lenta. Telegiornali e quotidiani riportano in continuazione notizie di imprese che chiudono per fallimento e di lavoratori che finiscono in cassa integrazione o peggio ancora licenziati.

Perfortuna, però, ci sono anche casi di imprese che riescono a resistere alla crisi ed è bene parlare un po’ di questo per ridare fiducia nel futuro e far capire che si può uscire da questa grave situazione per quanto dura sia. Già all’inizio del 2009 nacque un movimento chiamato proprio “imprese che resistono“, gruppo spontaneo di piccole e medie imprese che non si sono fatte travolgere dalla crisi. Questo movimento (sito internet www.impresecheresistono.org ) ha elaborato una serie di richieste molto chiare, sia a breve termine, come a medio e lungo termine. Nelle richieste a breve termine rientrano
Credito diretto alle imprese
– Riduzione IRAP
– Certezza dei pagamenti
IVA all’incasso
– Prolungamento CIGO (Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria), un ammortizzatore sociale che prevede un’integrazione al reddito di quei lavoratori che, per le crisi aziendali temporanee, devono ridurre l’orario di lavoro)
Le richieste a medio-lungo termine, invece, sono:
– Nuovi studi di settore per micro e piccole imprese.
-Revisione del sistema di riscossione.
– Revisione del sistema di tassazione delle imprese e delle persone fisiche e l’eliminazione dell’anticipo delle imposte.
Deducibilità integrale interessi passivi.
Come Piccole e Medie Imprese (PMI) chiedono la possibilità di continuare ad esistere e salvaguardare l’occupazione su tutto il Territorio Nazionale definendosi la VERA Spina Dorsale del Paese.

Per non farsi risucchiare dalla grande crisi, chi ce l’ha fatta ha puntato su export o innovazione. Non ci sono altre strade per evitare la crisi, crisi che anche nel Nord Ovest si è fatta sentire, eccome. Si esprime così il sociologo torinese Luca Ricolfi, già fondatore dell’Osservatorio del Nord Ovest: «È interessante notare come quest’area non rappresenti una regione virtuosa rispetto alle altre realtà che nelle statistiche economiche vengono considerate come Nord, ad esempio Lombardia, Veneto o Emilia Romagna. Dal punto di vista della parsimonia, vale a dire la scarsa spesa di risorse pubbliche per abitante, dell’efficienza dei servizi pubblici o dell’evasione fiscale siamo anzi di fronte a un quasi-disastro, come qualche anno fa ho cercato di mostrare nel libro “Il sacco del Nord”. Vale per il Piemonte e la Valle d’Aosta, ma ancora di più vale per la Liguria, che ha livelli di evasione fiscale quasi da regione meridionale». A dar retta ad alcuni titolari di imprese locali, tuttavia , che si lavori nel Nord Ovest, nel Nord Est o nel Centro, cambia poco, il problema è nazionale, oltre che globale. La fase è complicata, tutti si lamentano, perché lo Stato non paga, perché le banche non prestano soldi o perché la riforma del mercato del lavoro non ha semplificato le cose, anzi. Giuseppe Berta,docente dell’Università Bocconi, sottolinea come oggi ogni particolarità, come ogni vantaggio o svantaggio locale, sia annullato dalla recessione: «L’assenza di un sistema-Paese
peggiora la situazione, perché lascia le aziende a combattere da sole contro la crisi. Se l’interlocutore politico cambia ogni anno,come si può elaborare una strategia efficace?”

Le imprese che resistono meglio all’impatto della crisi sono quelle che puntano sull’innovazione, soprattutto se con processi integrati, cioè sia di prodotto-processo sia nel marketing, nell’organizzazione del lavoro e negli interventi formativi. E’ ciò che si ricava da ‘Formare per innovare’, la nota informativa pubblicata a fine marzo dall’Isfol, (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) concentrata sulle dinamiche che intercorrono tra innovazione di prodotto/processo e sviluppo delle risorse umane.
L’Italia, su questo fronte, è ancora indietro rispetto agli altri competitor europei. Poco meno della metà delle imprese innovative italiane (49,3%), infatti, investe su forme di innovazione integrata contro il 58,7% delle tedesche, il 55,4% delle austriache, il 54% delle inglesi e delle belghe, il 53,8% delle svedesi. Anche paesi emergenti, quali la Turchia con il 51,1% e la Croazia (53,1%) hanno maggiori tassi di innovazione integrata. Questa modalità debole di risposta alla crisi delle aziende italiane trova conferma anche nella tendenza a individuare soluzioni innovative di processo-prodotto al proprio interno, senza scambi con l’ambiente di riferimento. Solo il 12,1% di questo tipo di imprese innovatrici ha una forma di collaborazione con altre imprese in forma aggregata o con fornitori, università e centri di ricerca. Il valore medio europeo è, invece, del 25,5%.

Le imprese che compiono formazione interna hanno ottenuto innovazione di prodotto nel 38,8% dei casi, percentuale che cala al 19,7% per le aziende che non hanno compiuto tale attività. Le imprese formatrici hanno fatto innovazioni di processo nel 25,3% dei casi, contro il 10% delle non formatrici introducendo innovazioni organizzative pari al 36% a fronte di un 14,6% delle non formatrici. Andamento simile riguardo all’innovazione di marketing: si passa dal 22% delle formatrici al 10% circa delle non formatrici.

Nel XIV Rapporto sulla formazione prosegue compiuto dall’Isfol, sono stati anticipati i risultati di una ricerca sui modelli di governance territoriale per il supporto alla generazione di conoscenze e innovazione, considerando come riferimento Piemonte, Veneto e Puglia. Dalla ricerca emerge che i processi di innovazione sono contraddistinti da un lato dalle relazioni con gli attori esterni all’azienda e dall’altro dalla capacità di assorbimento da parte dell’azienda.
Una dimensione che esige una cultura organizzativa fondata sullo sviluppo delle risorse umane, il sostegno alla loro motivazione e alle capacità di iniziativa e discrezionali, per fare in modo che l’innovazione venga a costituire nell’impresa un processo integrato nelle attività aziendali , condiviso nel modo più ampio possibile. Un ulteriore importante fattore di innovazione è rappresentato dall’aggregazione di imprese, in particolare i contratti di rete, che stanno dando validi risultati sia nell’assicurare il superamento del limite dimensionale delle aziende italiane nel confronto con il mercato globale sia nell’agevolare il contagio reciproco tra le capacità innovative dei singoli.

Un altro modo per resistere alla crisi, forse più sofferto e spesso meno condiviso dall’opinione pubblica per orgoglio nazionale, è cedere a investitori esteri. E’ considerata l’extrema ratio per non fallire, ma diventa sempre più comune in questi tempi. Si pensi ai tanti casi di imprese acquistate da americani,russi o francesi ma anche cinesi come illustra il Corriere della Sera nelle pagine lombarde di martedì 29 luglio.
Lo shopping orientale a Milano e dintorni prosegue inesorabile: sono, infatti, sempre più numerosi i grandi investitori cinesi intenzionati ad acquistare industrie locali. Ultimo affare finalizzato è quello del Pavia Calcio, primo caso di società di calcio controllata da un gruppo cinese. Questa mossa è stata determinante per l’iscrizione al prossimo campionato di Lega Pro della società lombarda e anche per futuri nuovi affari nel pavese.

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Secondo il direttore del Centro Studi della fondazione Italia Cina, Thomas Rosenthal, “Quello che interessa all’investitore cinese non è solo la squadra di Pavia ma anche gi asset collegati, per esempio i terreni della vecchia proprietà, ma anche altre società di calcio. E, in generale, non mi sorprenderebbe se, in una città come Pavia, qualche cinese investisse nel business dei servizi sanitari. Del resto in futuro sempre più orientali in grado di spendere si sposteranno all’estero per farsi curare.”

Indiscrezioni a parte, ciò che conta davvero sono i numeri. Secondo il rapporto annuale della Fondazione, la Lombardia è la prima regione italiana per presenza di capitali orientali: 70, tra acquisizioni e nuove aperture, le imprese cinesi e di Hong Kong (37% del totale), in grado di dare lavoro a 1.983 dipendenti. Tra queste la bergamasca Pinco Pallino (abbigliamento per bambini) con il 20% nelle mani dell’operatore di private equity Lunar Capital. Ma la presenza maggiore è quella del colosso Zoomlion (macchinari per l’edilizia), che dal 2008 ha comprato sei aziende lombarde, a cominciare dalla Cifa Pumps. Mentre nelle ultime settimane il gruppo Jihua (abbigliamento professionale), dopo aver collocato la bandiera rossa a cinque stelle sulla Tessitura Majocchi di Albavilla (Como), ha inaugurato a Tavernerio, sempre nel comasco, il suo quartier generale internazionale. «Le imprese cinesi acquisiscono società locali per servire meglio il mercato europeo, saltando così le barriere doganali — spiega Rosenthal — ma anche per imparare la nostra tecnologia. Non a caso uno dei settori su cui Pechino ha maggiormente puntato gli occhi in Lombardia è quello della meccanica, in cui noi per tradizione abbiamo dato il meglio. Nei prossimi anni, invece, credo che molti punteranno sull’agroalimentare, il made in italy per eccellenza».
E questa situazione non riguarda certo solo la Lombardia, anzi.. Per fare solo un esempio, basta citare una notizia di questi ultimi giorni riportata da Il Sole 24 Ore, ossia l’acquisto da parte di membri della famiglia Bin Laden dei marmi di Carrara.

Ridare fiducia nel futuro, si diceva all’inizio. A questo proposito, il giornalista del Corriere della Sera e scrittore, Aldo Cazzullo, nel suo libro del 2012, “L’Italia s’è ridesta . Viaggio nel Paese che resiste e rinasce” ha posto in evidenza criticità ma anche eccellenze da cui ripartire. Scrive che “la prima e più importante cosa da fare è recuperare la fiducia. Fiducia in noi stessi. Fiducia negli altri. Fiducia nell’Italia. Fiducia nella giustizia. Fiducia nello Stato… Il primo modo per recuperare fiducia in noi stessi è smettere di lamentarsi per quel che non conosciamo il futuro.”