Sembrava ieri, e forse lo era, quando in Francia Francois Hollande approvava il ‘Mariage pour tous’, la legge per la legalizzazione delle nozze gay. E in molti, 17500 circa, finalmente hanno avuto la possibilità di convolare a nozze e consacrare la loro unione. Parliamo di Francia perché è stato uno degli ultimi Paesi a “cedere” ai matrimoni tra marito e marito o tra moglie e moglie. Come ben sappiamo Olanda, Belgio, Canada, America erano già mille anni luce avanti. E infatti questi Paesi hanno già affrontato la rivoluzione dei divorzi gay dopo quella per i matrimoni. Ed è quello che sta succedendo in questi giorni in Francia, dove alcune coppie omosessuali hanno deciso di ricorrere al tribunale per porre fine all’amore eterno.
Le prime richieste sono quelle che suscitano più clamore, soprattutto tra i giudici che non sono abituati a questo tipo di separazione, anche se le procedure da seguire sono esattamente le stesse utilizzate per il divorzio etero. Dunque già per questo sarebbe positivo eliminare anche dalla dialettica la distinzione di terminologie, alquanto inutile.
Anzi, una differenza c’è. I divorzi gay, infatti si distinguono proprio per essere molto meno conflittuali e più ragionevoli. Catherine Clavin, iscritta all’ordine degli avvocati di Marsiglia infatti dichiara: “Mi sto occupando di un divorzio consenziente in cui le miei clienti si erano sposate solo per tutelare il bambino, la vita le aveva già separate, ma tenevano a legalizzare la prole”.
Tuttavia non mancano anche le prime critiche, chi li accusa di aver combattuto tanto per avere il diritto del matrimonio e di non averlo saputo sfruttare. “Ci sono anche coppie che si sono fatte prendere da una sorta di “euforia iniziale” del matrimonio e ora vogliono fare marcia indietro”, sintetizza Florian Louard, avvocato a Macon, con già tre divorzi gay alle spalle. “Sono coppie non necessariamente giovani ma assai recenti e immature, hanno adorato potersi sposare in pompa magna, ora però detestano la routine. O anche vecchi compagni già in rotta che pensavano di ravvivare la fiamma ufficializzando il rapporto”.
Se il diritto al matrimonio è considerato una battaglia civile dagli attivisti, quello al divorzio è una lotta alla burocrazia, ma soprattutto, ancora una volta una corsa alla giustificazione. Dunque per gli etero è possibile sposarsi, separarsi, divorziare e farsi lotte anche a scapito dei poveri e indifesi figli, senza che nessuno stia li a giudicarli ma se sono i gay a chiedere il diritto, oltre che di sposarsi, anche di mettere fine al proprio matrimonio i giudizi si sprecano. Come se qualcuno avesse inteso che i rapporti gay, una volta ufficializzati, dovessero necessariamente essere più duraturi di quelli etero, come un contratto a progetto per cui bisogna dimostrare di essere più bravi, altrimenti il contratto non sarà rinnovato. I sentimenti non c’entrano in questo discorso ma in fondo la storia è sempre la stessa e si ripete fastidiosamente. Questo modus operandi si rispecchia anche in burocrazia, infatti la città di Washington ammette il matrimonio, lo stato del Maryland ha rifiutato le coppie gay sino al 2010 ma ora le ammette, nel Delaware il meglio che si può ottenere è l’unione civile, le autorità della Pennsylvania non riconoscono alcun contratto matrimoniale fra persone dello stesso stesso, poi si arriva a New York e si è di nuovo marito e marito (o moglie e moglie). Naturalmente, poi, ogni stato regola in modo diverso la fine delle unioni, quindi bisogna trovare il posto giusto non solo per sposarsi, ma anche per lasciarsi, per dividere il patrimonio, per ottenere un assegno di sostentamento o per stabilire l’affidamento dei bambini che, nel frattempo, qualcuno è riuscito ad avere o ad adottare.
In Italia, invece, tutti questi problemi non ci sono, perché abbiamo deciso che non crediamo alle favole. Che il matrimonio è solo tra uomo e donna e ci siamo anche permessi il lusso, perché noi possiamo, di decretare che l’amore è solo tra uomo e donna, e quello tra persone di stesso sesso è amore di serie b. E quindi nel nostro Paese l’uguaglianza di diritti ce l’abbiamo solo scritta dietro le sedute dei giudici. Perché se poi sei gay, le cose cambiano. Anche qui i sentimenti non vengono considerati affatto e i gusti sessuali diventano criterio determinante per le applicazioni di leggi. Angelino Alfano, varie volte si è detto deciso sulla sua posizione, contraria, al matrimonio ma “laico” sulle unioni gay. Dunque va bene, purché lo facciate senza diritti, senza doveri e soprattutto lontano da occhi indiscreti.
Eppure la speranza è l’ultima a morire, e magari, chissà un giorno anche l’Italia si sveglierà.
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