Tamara muore nel 2007 a soli 37 anni per mano di un uomo. Inutile concentrarsi sulla figura di lui, attribuendogli nomi o titoli che, scontato dirlo, indubbiamente gli appartengono. Tamara muore. Una donna muore, per mano di un uomo, che di punto in bianco decide di ucciderla. Perché? Il motivo che spinge verso un simile gesto rimane anche questa volta, come in tutti i casi di femminicidio, un mistero o spesso una semplice giustificazione, in quanto togliere la vita a una persona non può avere una spiegazione. Non una concreta almeno. Nello stesso giorno, nello stesso istante, lui ha tolto la vita a lei e a milioni di altre donne, perché in fondo Tamara non è mai stata e mai sarà una sola. Nel suo ricordo ci sono tutte quelle donne che ogni giorno rischiano di perdere la propria vita per mano di mariti, fidanzati, compagni o padri. Nel ricordo di Tamara continuano a vivere tutte quelle donne che si sono piegate davanti alla violenza, perdendo se stesse e la propria vita. Tanti punti di domanda, poche risposte, tanti, troppi fatti. Solo nel 2013, secondo quanto riportato dall’Eures sono stati 179 i femminicidi commessi. Un anno che ha registrato la più elevata percentuale di donne vittime di omicidio mai riscontrata in Italia.
In questa giornata, istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite per combattere la violenza sulle donne, le città si colorano per dare voce alle vittime e per dire no a qualsiasi tipo di violenza, fisica, sessuale o domestica. Un’occasione di incontro e di riflessione che dovrebbe però rimanere viva ed efficiente ogni giorno a seguire, per far sì che nessuna donna sia costretta a convivere con la paura del mostro che ha accanto e per fare in modo che Tamara, Valentina, Veronica, Melania non muoiano di nuovo. Sì, perché se diventa sempre più difficile insegnare agli uomini il rispetto non solo per le donne, ma per la vita e per quei sacrosanti diritti propri dell’essere umano, è fondamentale anche rafforzare le donne. Far capire loro che la violenza è la realtà nuda e cruda del “non amore”. L’amore non è amore se accompagnato dalla violenza e dal terrore.
A tal proposito, Livio Moiana, responsabile dell’Associazione Tamara Onlus, nonché familiare di Tamara, ci ha parlato del significato di questa giornata e di come riuscire a sconfiggere un mostro così potente, come quello della violenza sulle donne. Un uomo che ha vissuto sulla sua pelle la perdita di una donna per mano di un altro uomo. Un uomo che lotta ogni giorno per far sì che nessun’altra donna sia costretta a subire un episodio simile.
Cosa significa celebrare il 25 Novembre?
Io sono abbastanza scettico sulle giornate singole, nel senso che spesso i riflettori si accendono e si spengono nell’arco di una sola giornata e questo non va bene. La giornata può essere comunque un promemoria per i tanti “smemorati” che durante l’anno si dimenticano che ci sono dei problemi così seri. Sicuramente un po’ tutti devono cercare di non farsi scivolare via questa giornata dal 26 novembre in poi, perché altrimenti tanto vale non farla. È importante che ci torni nella mente e che nel nostro piccolo proviamo a fare qualcosa perché non possiamo sempre pensare che siano gli altri, lo Stato e mai noi a fare qualcosa. Quando si dice: che cosa fare? Tutti possiamo fare qualcosa, chi più chi meno. Anche solo parlarne, far conoscere il problema, non farlo restare nell’ombra.
L’educazione è importante nella lotta contro la violenza sulle donne?
Sì è importantissima. Io inizierei dalle scuole perché i violenti adulti nascono molto prima. È difficile che un violento adulto lo diventi dopo, così, dal nulla. La prevenzione è un fattore importantissimo. Quindi educare bambini, adolescenti e adulti al rispetto degli altri è un modo di prevenire la violenza. In fondo è pur sempre meglio prevenire che curare. Purtroppo in Italia la prevenzione, non solo in questo settore, è abbastanza sconosciuto. Se invece riuscissimo a seminarla, eviteremo di dover curare così tante persone dopo.
Come nasce l’associazione Tamara Onlus e quali sono i vostri obiettivi?
L’associazione nasce nel 2007 dopo l’omicidio di Tamara Monti, mia cugina: una persona “normalissima”. Lavorava al parco Oltremare di Riccione, aveva i suoi sogni, una ragazza come tante. Poi una sera il vicino di casa ha deciso di punto in bianco che la sua vita doveva finire. Non c’erano mai stati litigi, niente che facesse presagire una cosa del genere, ma l’ha uccisa. Da lì è nata quest’associazione dedicata a lei perché attraverso purtroppo il dover vivere quello che viene dopo l’omicidio, si scoprono realtà che in Italia non immaginavamo. E la cosa più grave è che in Italia per chi subisce un crimine o violenze contro la persona di qualsiasi genere non c’è nessun tipo di sostegno da parte dello Stato, come invece avviene in tutte le altre nazioni d’Europa. Anche in quelle con una storia più travagliata come quelle dell’Est lo Stato garantisce un minimo di tutela. In Italia purtroppo non c’è nulla. Per questo abbiamo creato quest’associazione. Per aiutare chi si trova in difficoltà.
Un messaggio per le donne che ci leggono?
Non smettete mai di lottare. Non chiudetevi in voi stesse. A volte capita che magari l’aiuto di qualcuno, soprattutto quello delle istituzioni, non arrivi. Ma questo non deve farvi mollare. Questo mai. Mai sopportare un’ingiustizia che fa male a voi in primis e poi anche ai vostri figli. Non mollate mai e non accettate passivamente qualcosa che è il male allo stato puro.
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