Il cinema in questi ultimi anni ha affrontato la tematica della crisi economica in modi piuttosto differenti. C’è chi ha voluto raccontare il senso di instabilità e incertezza per il futuro con toni cupi e drammatici, chi invece ha voluto in un certo senso esorcizzarla preferendo concentrarsi invece sulla possibilità di una rinascita. Il docu-film realizzato dal giovane regista emergente Giovanni Mazzitelli si pone giusto al centro. Solving, infatti, getta una luce sui risvolti, a volte tragici, della crisi economica che attanaglia le imprese italiane, dandoci una testimonianza cruda e graffiante dei problemi e delle difficoltà che ormai sono parte integrante della nostra vista quotidiana. E lo fa attraverso il racconto di due storie di vita realmente accadute, due facce di una stessa medaglia, la crisi appunto: da un lato la tragedia di chi, travolto dai debiti, decide di togliersi la vita, dall’altro il percorso travagliato di quanti, aggrappandosi ad un’esile speranza, tentano di reinventarsi. Per due anni il giovane Mazzitelli ha seguito con la sua telecamera il vissuto quotidiano di Salvatore Mignano (che ha prodotto anche il film), un imprenditore campano che si è lanciato nel mondo del cinema per tamponare il tracollo finanziario. Alla sua testimonianza si affianca quella straziante di Tiziana Marrone, vedova di Giuseppe Campaniello, datosi fuoco il 28 marzo del 2012 davanti all’agenzia delle entrate di Bologna. Abbiamo incontrato Giovanni Mazzitelli per parlare della sua interessante opera prima. Ecco cosa ci ha raccontato.
‘Solving’ si sofferma, attraverso due storie reali di imprenditori, la crisi nell’Italia di oggi e, in alcuni casi, le drammatiche conseguenze, come i suicidi. Perché hai scelto di raccontare un tema così delicato ma tanto attuale?
Per due motivi. Primo perché ero interessato a raccontare quello che era il punto di vista di un imprenditore nel suo vissuto quotidiano. Quando poi ho trovato un imprenditore che voleva partecipare al progetto, Salvatore Mignano, è stato lui ad accennarmi a questo fenomeno del suicidio imprenditoriale. Inizialmente ero scettico perché pensavo che potesse essere strumentalizzato, dopo, anche di fronte alla vicenda di Giuseppe Campaniello, ho capito che se volevo fare questo documentario non potevo non parlare anche di questo fenomeno. Quindi ho deciso di raccontare questa storia e di farlo nell’unico modo in cui pensavo di poterla raccontare, che è poi quella che vedete in ‘Solving’.
Alla storia di Salvatore Mignano, che hai seguito per due anni con la tua telecamera, sono alternate le testimonianze dirette della vedova Campaniello e interviste a giornalisti ed esperti (Franco di Mare, Francesco Alberoni, Sergio Luciano). Perché hai preferito questa forma del documentario rispetto al lungometraggio di finzione?
I film erano stati fatti ma si soffermavano più sulla figura del grande imprenditore, del grande industriale, penso al film di Giuliano Montaldo (L’industriale, n.d.r.) che ha voluto dare una connotazione più personale alla storia, infatti c’erano delle trame quasi amletiche all’interno, mentre invece quello che volevo fare io era parlare di come e cosa devono fare realmente i piccoli e medi imprenditori per affrontare la crisi e andare avanti. E l’unico modo per poter parlare di questo era un documentario, più inteso come cinema verità, con un linguaggio più verosimile e non artefatto da filtri espressamente cinematografici, e quindi una fotografia molto fredda, molto grigia a significare quelle che erano le circostanze, un uso di una camera a spalla che segue da vicino il protagonista, privilegiando primi piani, e poi delle interviste che si distaccavano un po’ dalla realtà di questa storia ma che servivano da un lato ad istituzionalizzare il progetto, dall’altro dare una connotazione molto valida dal punto di vista giornalistico ma anche scientifico della cosa, quindi ho interpellato un economista, un giornalista e un sociologo di tutto rispetto come Francesco Alberoni.
Com’è nata questa collaborazione con Alberoni?
Semplicemente ho pensato di dover coinvolgere una delle personalità che avesse la maggiore esperienza, che avesse conosciuto quelli che erano stati i veri imprenditori italiane, per capirne il carattere e Alberoni durante la sua vita ha avuto la possibilità di stare a conoscere grandi personalità imprenditoriali da Agnelli a Barilla, da Della Valle a Montezemolo. E tra l’altro ho avuto molta fortuna perché lui è da un po’ di tempo che non rilascia più interviste. E poi è stata una grande soddisfazione anche perché avendo letto e studiato i suoi libri nel mio percorso di studi universitario, ritrovarselo poi davanti è stata una grande emozione.
A livello tecnico e produttivo come hai affrontarlo questo progetto, che difficoltà hai incontrato durante la lavorazione?
Le difficoltà erano legate semplicemente alla preparazione di alcune interviste molto delicate, la stessa ad Alberoni e quella con Tiziana Marrone, la vedova di Giuseppe Campaniello, oppure alcune scene in cui Salvatore non voleva essere ripreso. Le difficoltà dipendevano più dagli impegni quotidiani o dalla voglia di questi personaggi di non essere coinvolti. Dal punto di vista tecnico no, poi ero da solo quindi non potevo improvvisare carrelli, dolly o movimenti di macchina particolari.
‘Solving’ è uscito in sala nel febbraio del 2014, a pochi mesi di distanza dal trionfo di due documentari italiani in importanti festival internazionali, ovvero ‘Sacro Gra’ a Venezia e ‘Tir’ a Roma. Finalmente anche questo genere cinematografico sta ricevendo una maggiore attenzione.
Sapevo che non era la tipologia migliore per la distribuzione però visti anche questi risultati speravo che il grande pubblico si fosse aperto di più ad andare nelle sale a vedere un documentario. Forse però non siamo ancora del tutto pronti e non so se lo saremo mai come invece lo è il resto d’Europa, penso alla Svezia e ai paesi del nord che sono più attenti a questo tipo di prodotti. Ma è stato comunque un grandissimo risultato, soprattutto dal punto di vista critico perché ha avuto recensione solo positive, un po’ meno lo è stato dal punto di vista del pubblico ma era una cosa anche abbastanza prevedibile visto il tema importante che tratta. La crisi economica è ancora purtroppo una costante della nostra vita, ci siamo abituati ad uno stile di vita molto più contenuto rispetto a quello che avevamo nel 2008, per esempio. E anche del fenomeno dei suicidi degli imprenditori se ne parla poco, anche se purtroppo continuano ad accadere. Dall’inizio del 2014 sono circa un centinaio le persone morte suicida per problemi legati alla crisi economica, anche se i dati forse non sono nemmeno certi perché molte famiglie, per una questione di onore forse, preferiscono non dichiarare le vere cause della morte.
Il significato del termine “Solving” che da il titolo al film, lascia intendere che oltre la crisi, il precariato e il dramma del suicidio imprenditoriale c’è un messaggio positivo che possiamo trarre?
Il termine tra l’altro ha un’origine greca che significa “opportunità”. Chiusa questa parentesi, non potevo permettermi di dare un messaggio negativo. La mia scelta di dare un finale “positivo” al film è dipesa in primo luogo da un dato statistico: ci sono dieci milioni di imprenditori in Italia, e dal 2007 ad oggi se ne sono uccisi “solo” 4mila, questo ci permette di essere positivi se non altro sul fatto che il suicidio è un gesto davvero estremo, che molti non hanno preso mai in considerazione; da un altro punto di vista, più filosofico forse, mi interessava dare un messaggio positivo inteso come spinta propulsiva verso la vita, verso quelli che sono i veri affetti. Esistiamo per uno scopo, e siamo liberi di decidere se lasciarci andare o invece combattere. Io sono qui per combattere e questo mi da la possibilità di pensare che ci sia sempre una speranza che qualcosa possa cambiare, anche perché la storia si ripete, corsi e ricorsi storici come si dice, quindi dove c’è abbondanza prima o poi ci sarà crisi, e dove c’è una crisi prima o poi ci sarà una ripresa.
[Credit Photo Cover: Giovanni Mazzitelli]