Marco D’Amore – Ciro Di Marzio nella finzione – alla serie TV Gomorra ha regalato un tocco di classe. Ambizioso attendente del Boss, Don Pietro Savastano, spietato, infame e crudo, nei dieci episodi della serie andati in onda negli scorsi martedì su Sky Atlantic HD ha interpretato scene forti, dal contenuto talvolta difficile da “digerire” da parte del pubblico più sensibile. Una performance attoriale impeccabile che non ha lasciato indifferenti critici televisivi, spettatori e influencer sui canali social.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per catturare in un’intervista esclusiva le sue dichiarazioni su un prodotto televisivo e un ruolo tanto impegnativi, quanto appaganti.
Marco, siamo arrivati al decimo episodio di Gomorra e i numeri che sta registrando la serie sono inaspettatamente grandi. Come giudichi questo successo?
Marco: “Un successo inaspettato da spettatore. Da osservatore della realtà, invece, ritengo che questi dati confermano il bisogno che il pubblico ha di qualità e, allo stesso tempo, di conoscere la realtà, per quanto amara sia”.
Un grande successo preceduto e accompagnato da grandi polemiche. Come hai vissuto il coro di voci che si è sollevato – soprattutto tra i napoletani – contro Saviano, la produzione e il prodotto Gomorra?
Marco: “Le polemiche mi toccano davvero poco. Amo ripetere un vecchio adagio per cui ‘le polemiche sono polveroni alzati negli occhi’. Sono sempre stato disponibile allo scontro, anche duro, purché sul tavolo ci siano argomenti. Io invece ho sentito solo voci e nessuno che mi abbia invitato a un contraddittorio. Non mi piacciono le cose che mettono tutti d’accordo, e Gomorra è una di queste”.
Hai pubblicato molti tweet a sostegno della serie. Uno di questi ti ritraeva accanto un manifesto pubblicitario in città che inveiva contro Gomorra e tutta la produzione e il cast, con epiteti non generosi nei vostri confronti. Che reazione ha sollevato la tua foto? Hai avuto riscontro positivo?
Marco: “Quella foto ha fatto un bel giro. Io non sono solito legare la mia immagine personale alle vicende, parlo solitamente attraverso il mio lavoro. Quella mattina – erano le 6.00 – mi trovavo sul set con Luca Zingaretti. Ho visto il Centro Direzionale di Napoli tappezzato di anonime accuse e, dato che io la mia faccia in Gomorra l’ho messa, mi sono fatto una foto contro questo anonimato. L’ho fatto per difendere il lavoro di un anno e mezzo di quasi 200 persone, tra cast artistico, trucco, sceneggiatori, registi, produttori. Noi concepiamo il nostro sogno anche nella misura del tempo speso e della fatica e delle rinunce. Questo per noi è fare l’attore”.
Interpreti Ciro Di Marzio, attendente del Boss, Don Pietro Savastano. Un ruolo forte, un personaggio senza scrupoli. Che difficoltà hai riscontrato per calarti nel ruolo? Che lavoro hai dovuto fare su te stesso?
Marco: “Grazie a Stefano Sollima – show-runner del progetto – ho fatto a testate con Ciro da subito. In due mesi e mezzo ho perso quasi 25 chili, quindi il primo impatto con Ciro è stato traumatico. Appena sono usciti gli spigoli del mio corpo, abbiamo ragionato su questo ‘soldato’, che al tempo stesso era uno stratega, un fine psicologo, perché riusciva sempre a rapportarsi con i vari personaggi della serie, a tutte le gerarchie, raggiungendo sempre il suo scopo. […] Dico sempre di aver subito una vertigine di attore. Pensando allo Iago dell’Otello di Shakespeare, sebbene lontano da Ciro, dal punto di vista della struttura ha molti punti in comune con il mio personaggio”.
continua Marco: “Purtroppo i sacrifici fisici che facciamo rimbalzano poco. Se questo accade in altri Paesi gli attori vengono osannati, da noi no”.
Qual è stato l’ostacolo maggiore da superare nella tua prova di recitazione?
Marco: “Ce ne sono due, uno fisico e uno emotivo. Emotivamente è stata sfidante una scena che si è vista alla fine della prima puntata quando piango la morte di Attilio sul tetto. Dovevo restituire un carico emotivo mettendo la freddezza di un personaggio come Ciro, quindi non attraverso un pianto dirotto ma trattenuto, e questo è stato difficile. In termini di prova fisica, invece, mi sono fatto 4 ore di oceano a Barcellona a mollo, con un freddo da morire. Ero viola. Penso che lo ricorderò tutta la vita”.
Nella serie – nella prima puntata e nella terza, in particolare il sesto episodio – sei protagonista di scene dal contenuto molto forte. Nella prima, Pietro Savastano urina nel bicchiere e ti obbliga a bere come prova di fedeltà; nel sesto episodio, il Boss spagnolo urina su un camorrista, con la vista del membro maschile senza censura. Come ti sei rapportato rispetto a queste scene così forti?
Marco: “Come attore dico ‘Viva a Dio’. Noi viviamo in un Paese di censure, che vanno ben oltre le immagini, ma toccano il pensiero e l’espressione. Quegli episodi sono uno scorcio di una realtà che vive anche di quello. Non raccontare quella realtà avrebbe significato censurarla. Ci siamo rapportati con la massima onestà a queste scene”.
Quale la peggior critica ricevuta e quale il miglior complimento sulla tua interpretazione in Gomorra?
Marco: “Siamo ancora in corso d’opera e non saprei essere lucido rispetto alla critica. I bilanci li faccio a lungo termine. Sono molto contento perché ho sentito intellettuali, colleghi, scrittori che hanno esaltato la mia prova e la serie. Mi piacerebbe sentire una voce da parte dei nostri amministratori e della politica. Cito un tweet di Barack Obama a Kevin Spacey per l’uscita di ‘House of Cards’. Obama ha twittato ‘Looking forward’ (non vedo l’ora). Ecco, mi piacerebbe un nostro politico parlare in questi termini’.
Quale il momento per te indimenticabile vissuto durante le riprese?
Marco: “Faccio da portavoce di un’esperienza che è stata per intero entusiasmante. Ognuno di noi ha assunto una grossa responsabilità su di sé rispetto al racconto. Abbiamo convissuto per un anno e mezzo e le carovane del cinema e della TV non sono poi diverse da quelle teatrali, diventano piccole famiglie. Nel frattempo, nascono bambini, ci sono momenti difficili, si condivide moltissimo. Non un solo episodio, bensì quindi un’esperienza clamorosa in toto”.
Il rapporto con Salvatore Esposito (Genny Savastano) continua anche fuori dal set. Cosa ammiri particolarmente in lui dal punto di vista professionale?
Marco: “C’è una forte stima artistica. Ho sempre scelto con molta cura i progetti a cui partecipare. Il punto che scelgo con estrema cura è la portata dei colleghi in un progetto. Questo è un cast notevole che dimostra come la nostra regione sia un focolare di artisti attorno al quale stringersi. Siamo la prima serie venduta negli USA, fatta da 200 attori napoletani di tre diverse generazioni. Salvatore è la dimostrazione lampante di come, nonostante la carenza di strutture della nostra città, lui abbia avuto la forza, il coraggio e il talento di perseguire una strada e farcela. Inoltre, c’è un affetto fraterno tra noi per cui lo ritengo un po’ il mio fratellino e io gli faccio da ‘balia’”.
Nella vita reale Marco chi è?
Marco: “Un ragazzo dai molteplici interessi, anche lontani dalla recitazione. Amo molto scrivere. Ho iniziato da musicista, suonando e cantando. Lego i miei sogni al mio gruppo – La piccola società – in piedi da 8 anni, fondato con lo sceneggiatore Francesco Viaggio, un poeta piemontese con il quale stiamo realizzando un film indipendente. Riverso tutte le mie energie nel nostro sogno di indipendenza artistica”.
Prima di Gomorra ti abbiamo visto in TV con “Benvenuti a tavola”, con Giorgio Tirabassi e Fabrizio Bentivoglio, e a teatro in “Una vita tranquilla”, con il grande Toni Servillo. Tra cinema, teatro e TV, quale esperienza ti ha formato di più e su quale vorresti puntare per la tua carriera futura?
Marco: “Non nutro snobismi rispetto agli ambiti. Nutro grande aspettativa rispetto alle esperienze. Mi metto alla prova in avventure che possano lasciare un segno, incidere, raccontare qualcosa alla società. Altrimenti mi troverei in difficoltà”.
Che ruolo vorresti interpretare nella tua prossima avventura professionale?
Marco: “Mi piacerebbe poter dimostrare che posso essere completamente altro rispetto a Ciro, dato che nel nostro Paese si rischia di far coincidere al personaggio l’attore. Mi piacerebbe recitare in lingua, magari in un film drammatico o in una commedia, dato che ne ho fatta tanta a Teatro. Vorrei mettermi alla prova con un ruolo molto lontano da Ciro”.
Ci sono già delle proposte che stai valutando?
Marco: “Ho finito di girare tre settimane fa con Luca Zingaretti l’opera seconda di Eduardo De Angelis, un’altra eccellenza del nostro territorio. A fine giugno completerò di girare il mio terzo film con Claudio Cupellini – I principianti – che uscirà l’anno prossimo. Un film in cui interpreto un folle milanese che capita a una serata inguaiando i protagonisti. Inoltre, sto dedicando tutte le mie energie a questo progetto indipendente – Un posto sicuro – che narra le vicende di Casale Monferrato legate allo scandalo Eternit”.
Essere Marco D’Amore oggi, attore giovane ma con un ottimo background e tutti i presupposti per sfondare, ti è costato particolari rinunce? Quale il maggior rimpianto e maggior rimorso, se ne hai?
Marco: “Non ho rimpianti e rimorsi. Ci sono stati sacrifici e rinunce. Ho lasciato casa mia a 18 anni. Sono partito in tournée con la compagnia di Toni Servillo. Da lì ho deciso di andare a Milano a studiare per 5 anni, vivendo da solo. Tutto ciò che dovrebbe fare un giovane attore che desidera fare di questo sogno una professione, mettendo nel bilancio della carriera anche i periodi di anonimato, i ‘no’, e tutti i sacrifici. […] Oggi non mi sento migliore di quando ancora non avevo girato Gomorra, solo più allenato, ma sono uguale a prima”.
Tra dieci anni come ti vedi?
Marco: “Aver collezionato qualche esperienza internazionale importante. Aver fatto crescere il mio gruppo e ottenuto la fiducia di qualche istituzione per poter produrre in autonomia quello che scrivo”.
Se dovessi rivolgere un “Grazie” speciale per l’esperienza che stai vivendo, a chi lo destineresti?
Marco: “Alla mia terra. Io sono casertano d’adozione, ma Napoli è la mia città di riferimento culturale, che mi ha dato un’educazione teatrale. Sento in napoletano, penso in napoletano. Ho vissuto 9 mesi nei quartieri più difficili del nostro territorio, ricevendo una risposta di umanità unica al mondo che non potrò mai ricambiare a sufficienza. Il mio ‘grazie’ va alla mia terra”.
[Credits: Sky Atlantic]