“Da grande voglio fare l’astronauta”. “Da grande voglio fare la maestra”. “Da grande voglio fare il calciatore”.
Da bambini tutti ci siamo immaginati cresciuti, tutti abbiamo sognato di diventare qualcuno, un qualcuno che fa quello che ama.
Perché se adori giocare a calcio, è scontato voler fare il calciatore. Se sogni con il naso verso il cielo, è normale voler fare l’astronauta. Si crede fermamente di poter diventare quello che si ama, da bambini. Si crede che la vita consista nella gioia di poter fare quello che riesce meglio. E si può arrivare a realizzare questo sogno. Anzi, deve essere l’unico obiettivo.
Ma come raggiungerlo? Il ruolo dei genitori è fondamentale nella crescita e nella scoperta dei talenti dei bambini. E oltre a essere fondamentale è anche molto delicato. Si ricorre spesso, infatti, in errori anche inconsapevoli: confrontare fratelli o sorelle tra di loro, crearsi delle aspettative frutto dei propri desideri, tralasciare, sopraffatti dai problemi quotidiani, momenti di condivisione, di ascolto e di insegnamento.
Osservare le propensioni del proprio bambino, assecondare la sua curiosità, rispettare lui e le sue scelte, guidarlo nella decisione, senza imporgliela: si diventa così un punto di riferimento. E avere qualcuno che crede in te, che ti ascolta, che ti sostiene, è la base imprescindibile per diventare quello che si è destinati ad essere.
Perché i figli, velocissimo, imparano a leggere, a scrivere, si creano idee, iniziano a costruirsi, con l’ausilio della cultura, una personalità. E ci si ritrova, con un’unica e fulminea sferzata, a discutere in famiglia su temi di attualità, di politica, di religione, e non si sa improvvisamente quando i pargoli, inesperti e innocenti, siano diventati giovani adulti. Ci si chiede quando sono diventati qualcosa di diverso da quello che ci si aspettava.
Spesso i figli si concepiscono come estensioni del proprio io: si tende così a fargli vivere la vita che si rimpiange, si tende a fargli scegliere l’altra strada del bivio, quella che non si è avuto il coraggio di scegliere. Ma ogni bambino è unico. Ogni bambino è un essere autonomo e indipendente. E il suo talento va scoperto e coltivato, osservandolo con uno sguardo imparziale, onesto e a 360°.
“Esiste una sola scuola: quella del talento”, scriveva Nabokov. La famiglia, la strada, l’istruzione, lo sport: tutto questo può essere una scuola del talento. E in questa molteplicità più e più possono essere le guide. Guide che devono camminare accanto, non trascinare.
“Il talento è un punto di forza, un ambito in cui un piccolo se la cava bene. ma ricordiamoci che non sempre è un’eccellenza. Può diventarlo con la pratica, ma di base non è una dote straordinaria o genialità: è una propensione naturale”, spiega la psicologa Elena Urso a donnamoderna.com. Ci si può appellare alla stessa etimologia del termine: tàlanton in greco è “bilancia”. Perché il valore personale va misurato e integrato, rispetto alla società e con il duro lavoro.
Educare all’impegno e agli obiettivi è, infatti, un altro compito importantissimo del genitore. Perché avere talento non serve senza uno sforzo nel migliorarlo. Si deve sempre puntare ad essere il meglio di quello che si può essere. Crescere con il rimpianto, è di gran lunga peggiore della fatica.
Magari poi non tutti abbiamo il posto nel mondo che ci aspettavamo. Magari le stelle le guardiamo con gli amici, non per lavoro. Magari il mutuo, l’ufficio, l’auto e tanti altri oneri hanno vinto sui sogni. Ma sapere di aver fatto tutto il possibile, sapere che qualcuno, in particolare chi ti ha dato il dono più grande, quello della vita, ha creduto in te dal primo respiro, sapere tutto questo, dona la forza per credere in quello che si è e per combattere ancora.
Tanto si finirà sempre per imbattersi nelle proprie inclinazioni. La vita ci porta esattamente dove deve, in un modo o nell’altro, completamento o parzialmente. Serve solo avere fede in lei.
“Da grande voglio fare l’astronauta”, dicevo. Ma sono diventata grande quando ho preso una penna in mano.