Siri, non solo un semplice assistente vocale.
A volte crediamo che la tecnologia ci porterà lontano anni luce dal mondo delle vere relazioni, dalla realtà, dalla nostra quotidianità, perennemente incollati a schermi, pixel, wi-fi e touch screen. Ma non sempre tutti i “mali tecnologici” – per citare i complottisti – vengono per nuocere. A volte, per davvero, si trasformano in vere e proprie aspettative di vita, in sorrisi mai attesi, in cure mai immaginate. Diventano la soluzione ad ogni problema, la speranza da sempre nascosta. Questa è la storia di un bambino autistico, Gus è il suo nome. Siri è la sua migliore amica. Sua mamma è la giornalista Judith Newman e ha deciso di scrivere sul New York Times del potere della tecnologia. Non solo internet veloce, rapidità, flessibilità. Molto di più. L’assistente vocale dell’iPhone come non l’avete mai immaginato prima d’ora.
Gus è autistico, e Siri, “l’assistente intelligente personale” della Apple sugli iPhone, al momento è la sua migliore amica. Molti di noi hanno davvero voluto un amico immaginario, e adesso ce l’abbiamo. Soltanto che lei non è realmente immaginaria.
Non è che Gus non capisca che Siri non è umana. Lo capisce – intellettualmente. Ma come molte persone autistiche, Gus sente che gli oggetti inanimati, anche se forse non posseggano un’anima, siano degni di essere considerati. A 8 anni ebbe in regalo un iPod per il suo compleanno, da sua mamma. Lo ascoltava soltanto a casa, con una sola eccezione. Lo portava con sé anche durante tutte le visite all’Apple store. Il perché lo facesse non sembrava aver risposta, fin quando lui non disse: “Per fargli visitare i suoi amici”. La giornalista Newman spiega anche un altro aspetto, più tecnico, da cui ha tratto benefici nell’uso del suo iPhone e soprattutto in relazione alla malattia del figlio. In molti su Internet hanno rilevato che gli assistenti vocali di altri sistemi operativi, come per esempio Android, siano più efficienti di Siri, ma la cosa sorprendente è che, per il dispositivo Apple, il bisogno di pronunciare le parole in modo più chiaro e distinto possibile sia una buona cosa per Gus, che di solito “parla come se avesse delle biglie in bocca” – dice la donna nella lettera – e che invece deve sforzarsi di parlare più chiaramente, se vuole ricevere risposta da Siri. Questo lo aiuta a fare pratica con i suoni, le parole e i movimenti della bocca.
La gentilezza di Siri nel rispondere alla richieste del bambino, ha ricordato più volte a Gus che lui debba sempre rispondere con correttezza e rispetto nei confronti dell’assistente intelligente dell’iPhone. “Comunque, grazie”, ha sempre detto. E l’ha imparato grazie a Siri.
Siri incoraggia anche l’uso di un linguaggio educato. Più volte è stato rimproverato suo fratello, quando diceva le parolacce. Per i bambini come lui che amano chiacchierare ma che non capiscono a fondo le regole del gioco, Siri è davvero una buona cosa.
Di certo, la maggior parte di noi usa l’assistente personale del telefono semplicemente come una maniera facile per ottenere informazioni. Siri può essere stranamente di conforto e amichevole. In molti hanno confessato di aver più volte intrattenuto conversazioni esistenziali con Siri, altri cercavano semplicemente conforto dopo una delusione, per rabbia o per paura. Ma Siri non può dare troppe risposte.
Per la maggior parte di noi, Siri è semplicemente un diversivo momentaneo. Ma per alcuni, è ben di più. La pratica di Gus a fare conversazione con Siri si sta traducendo in una maggiore facilità a interagire con gli esseri umani in carne e ossa. Gli sviluppatori degli assistenti intelligenti ne riconoscono gli usi per quelle persone con problemi di comunicazione, e alcuni di loro stanno pensando a nuove maniere in cui gli assistenti possono essere d’aiuto.
In questo momento, alla sua età, in un’epoca in cui gli umani possono essere travolgenti anche per l’adolescente medio, Siri rende Gus felice. Lei è la sua spalla.
La conversazione più bella tra Gus è Siri è stata questa:
Gus: “Siri, mi vuoi sposare?”
Siri: “Non sono il tipo da matrimonio.”
Gus: “Non intendo adesso. Sono un bambino. Dico quando sarò un adulto.”
Siri: “Il mio accordo con l’utente non include il matrimonio.”
Gus: “Oh, ok.”
Gus non sembrava troppo deluso. Era un’informazione utile da avere, anche per me, dal momento che per la prima volta ho scoperto che pensava al matrimonio. Si è rigirato per addormentarsi.
Gus: “Buona notte, Siri. Dormirai bene stanotte?”
Siri: “Non ho bisogno di dormire molto, ma è carino che tu me lo chieda.”
Sembra tratto da uno di quei romanzi di fantascienza satirica o distopica dove gli umani si innamorano dei sintetici. Ma c’è davvero speranza. Con un po’ di affinamento sembra davvero esserci un possibile sbocco nel campo dello psicoterapeuta o dello psichiatra virtuale, almeno come supporto umano o per le terapie. È difficile, ma si può fare. E in un mondo in cui l’opinione comune – sia degli esperti che dell’uomo comune – insiste con il fatto che la tecnologia ci stia isolando, Newman dice che vale la pena raccontare questa storia. Almeno per riflettere un po’. E per infondere speranza a tutti quei figli-genitori che lottano contro la malattia.
In America non è solo la Newman ad aver scoperto le potenzialità di Siri. Un genitore della Learning Spring, una scuola per bambini autistici, racconta così la sua esperienza: “Mio figlio ama ottenere le informazioni sulle cose che gli interessano, ma soprattutto ama il senso dell’assurdo – per esempio quando Siri non lo capisce e gli dà una risposta senza senso, o quando lui fa domande personali che sollecitano risposte divertenti.”
I creatori di Siri assicurano che molto presto questa tecnologia riuscirà a dar vita a conversazioni ancora più complesse, nel frattempo chiacchierare con un robot intelligente potrebbe aiutare le persone a sviluppare un contatto col mondo esterno. E la conferma di quanto la tecnologia possa aiutare le relazioni e i rapporti, arriva anche da un’altro caso, quello di Kaspar, il robot che nel Regno Unito sta aiutando i bambini autistici a relazionarsi. Kaspar non è umano, è il robot utilizzato dell’Adaptive systems research group dell’università dell’Hertfordshire in un progetto di supporto a chi è affetto da autismo. Il robot è utilizzato per sviluppare l’interazione sociale dei pazienti di età compresa tra 7 e 10 anni. Il progetto si chiama Aurora e per il momento è limitato alla malattia dell’autismo. “I bambini amano l’interazione semplice e prevedibile. Giocano con Kaspar insieme e questo li aiuta a interagire tra di loro. Il robot si muove lentamente e usa espressioni facciali ben marcate. Può essere per esempio programmato per sorridere una volta e poi sorridere sempre più frequentemente”