Il termine Grexit è ormai entrato nel linguaggio politico comune da quando da più fonti si è innalzato lo spettro di una possibile uscita della Grecia dall’Eurozona; una soluzione estrema dettata dall’assioma che inevitabilmente il Paese fosse destinato al default e che ogni tentativo possibile di evitarlo avrebbe danneggiato l’economia degli altri Stati “costringendo” ad una drastica ed inaspettata misura di contenimento. Se da un lato i governi europei hanno tentato di allontanare più possibile una strategia ritenuta pericolosa anche dal punto di vista etico per la salvaguardia del concetto di Unione Europea, dall’altro le politiche economiche dettate dalla cosiddetta Troika per cercare di ripianare il debito greco hanno spinto il Paese ad una situazione tanto difficile quanto sfiduciante.
Oggi il quadro è leggermente meno drammatico, l’economia greca tenta di risollevarsi e le riforme imposte dalla Bce hanno in parte abbassato il rischio di default; il peso degli errori della politica ricadono però più sulla Grecia, costretta ad un tasso di disoccupazione senza precedenti, che sulle finanze europee che hanno avuto tempo di ovviare a possibili pericoli. Mentre l’ascesa di posizioni politiche di stampo populista, e il timore che la crisi non sia superata davvero, fanno tornare in auge in questi giorni un tema che sembrava quantomeno allontanato.
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Origini della crisi greca
La storia che ha portato ad una crisi economica senza precedenti per le finanze greche è lunga e spesso addebitabile a politiche economiche sbagliate e alla presunzione di poter aumentare a dismisura il debito pubblico senza dover dare conto a nessuno. Nel 2009 sale al potere il leader del Padok, Papandreou, che svela per la prima volta che il Paese si trova davanti ad un buco nei conti pubblici molto maggiore di quello dichiarato dai precedenti governi; l’agenzia di rating “Fitch” declassa il paese da A- a BBB+ aprendo di fatto uno dei periodi più bui per la Grecia. L’anno successivo l’austerity diventa l’obiettivo primario per Atene che tenta disperatamente di rientrare dentro i limiti imposti dall’Ue aumentano l’Iva e le tasse e tagliando gli stipendi pubblici. Ma questo non basta e la Grecia è costretta a chiedere un aiuto finanziario; il malcontento sale e scoppiano rivolte nelle città. Nel 2011 i conti del Paese non riescono a tornare apposto, l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” declassa Atenee a CCC, ed il Ministro greco delle Finanze ammette che il Paese non riuscirà a raggiungere gli obiettivi di deficit. Papandreou si dimette e subentra l’ex capo della Banca di Grecia, Luca Papademos, che controlla un governo tecnico formato da una coalizione che comprende il Pasok e Nuova Democratia con l’obiettivo di traghettare il Paese verso una maggiore stabilità economica e politica. Nel 2013 è costretta a chiudere l’emittente radiotelevisiva Ert, e le polemiche non si placano perchè le opposizioni intravedono in questo un tentativo di censura; Sinistra Democratica lascia il Parlamento che nel frattempo approva nuovi tagli sui salari dei dipendenti del servizio civile. Soltanto nel 2014 i primi segnali di ripresa con il ranking che torna a salire, e con una nuova forza politica, Tispras, che riesce a trionfare lo scorso Gennaio nelle Elezioni Presidenziali e ad imporsi come forza di Sinistra pronta a rinegoziare i termini di austerity imposti dalla Troika.
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Rischio Grexit reale?
Il rischio legato ad un possibile Grexit non è soltanto economico ma mette a repentaglio la stabilità e la concezione stessa di Eurozona. Un Paese che dovesse di fatto uscire dalle tutele e dalle garanzie europee creerebbe uno squarcio a quell’idea di solidarietà su cui si basa l’Ue, lasciando solo a se stesso un Paese che se da un lato ha colpe e responsabilità, dall’altro non può pagare gli errori dei suoi precedenti governi. Il rischio Grexit esiste non è soltanto uno spettro che spaventa più i greci inermi che i politici dei Paesi più forti, esiste ma non può e non deve in nessun caso essere preso in considerazione.
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Risoluzioni tra proposte concrete e populismo
Tipras non è uno sprovveduto, è un politico che seppur riuscendo a salire con un programma di rottura rispetto al governo tecnico che l’ha preceduto, si è dimostrato più equilibrato e meno antieuropeista di quanto molti volessero far credere. La Grecia non ha alcun interesse ad uscire dalle tutele in cui si trova adesso, e se già soffre, con un’ipotesi di Grexit soffrirebbe ancora di più. Il tentativo di trovare una risoluzione che convinca tanto la Bce, quanto gli altri Paesi c’è stato ma le posizioni restano distanti perchè il leader greco non può permettersi manovre impopolari che indeboliscano ulteriormente l’occupazione e le casse del Paese. Il rischio in questo quadro è rappresentato più da quei Partiti di stampo populista che cavalcando l’onda dell’antipolitica affibbiano alla Grecia volontà mai espresse, e sperano in questo squarcio per fomentare odio e rifiuto verso le politiche economiche di stabilità. Il rischio, questo nemmeno tanto lontano, che riescano col passare dei mesi a accrescere il loro consenso è molto alto, e determinerebbe una fragilità molto più pericolosa perchè non solo economica ma ideologice.
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