Appena uscita la notizia, il caos: Grillo bussa alla porta di Renzi, praticamente l’evento del secolo. In quanti avevano sperato davvero in un incontro fra i due leader? Pochi ma non troppi. La speranza era quella di un incontro dialogante, costruttivo fra due forze di governo o meglio fra il premier e segretario del Partito Democratico e il leader del MoVimento 5 stelle. È vero che le speranze sono le ultime a morire, ma in questo caso non era neanche il caso che nascessero. Perché? Il perché risiede nella natura dell’incontro.

Ore 14:35, sala della Commissione Esteri di Montecitorio. Presenti: vicesegretario Lorenzo Guerini, altro vicesegretario PD Debora Serracchiani, capogruppo della Camera Roberto Speranza. Il M5s schiera i capigruppo di Camera e Senato, Giuseppe Brescia e Maurizio Buccarella, i deputati Danilo Toninelli, l’uomo delle riforme e Luigi Di Maio, il moderatore. E poi la sorpresa: Matteo Renzi. Nei giorni precendenti i giornali davano per improbabile la presenza di Renzi, senza per altro elementi così certi. La lettera inviata in risposta al M5s dimostrava la disponibilità del premier.

A prescindere da tutto questo è un fatto storico per due motivi: il primo è sotto gli occhi di tutti, è un incontro aperto al pubblico, in diretta streaming appunto, e chissà che non diventi un modo per risvegliare l’elettore medio. L’altro motivo è più personale: Grillo ha messo in pratica il cambio di rotta. In questo motivo risiede la vera natura dell’incontro. È si una rivoluzione ma al tempo stesso una messa in scena di tattiche di partiti. Grillo ha preso in mano le redini della situazione e l’ha giocata a suo vantaggio: giocando a volto scoperto (anche se non presentandosi), si è fatto leader, ha dettato direttive ai delegati e tenta di arginare il danno. Il danno che è stato per alcuni compiuto a Bruxelles: l’alleanza con Farage. Forse questa è l’occasione che potrebbe riportare un po’ di orgoglio alla parte delusa degli attivisti pentastellati. Lo diranno i commenti.

Grillo il grande assente? Forse. Di certo ha seguito tutto via streaming e ha cinguettato e retwittato i commenti a caldo di chi come lui era davanti allo schermo del pc, tifando per la sua squadra. Una squadra che si è dimostrata in grado di sostenere il dialogo: il tono moderatore di Di Maio, la preparazione di Toninelli che ha illustrato al PD il Democratellum. La moderazione appunto, nella forma più utile in questo momento. Tattica? Di necessità, virtù. Poche ore prima della diretta, la polemica con il ministro Boschi: gli insulti, le smentite, le richieste di scuse da parte del PD. Uno scivolone che non ci voleva, di poco gusto e poco propiziatorio. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook il punto della situazione lanciando però una frecciatina al Partito Democratico che forse era inopportuna. Altra nota a margine, il ballerino “Ti do del tu o del lei?” di Renzi a Di Maio.

Le parole di Grillo erano state molto chiare: “Mettiamoli alle strette“, “Avanti solo con le nostre proposte” se si dimostrano dialoganti. Parole d’ordine: preferenze, sistema proporzionale, no al premio di maggioranza. In occasione della trasferta romana per il concerto dei Rolling Stones, in molti militanti del partito si erano recati da Grillo, non a ricevere la benedizione ma probabilmente le rassicurazioni del caso. Fra i pellegrini anche la senatrice Paola Taverna che intervistata alla fine del colloquio con Grillo, ha svelato il suo scetticismo, arrivando a definire l’incontro un’occasione per svelare, smascherare i giochi del Partito Democratico, dopo quella vittoria schiacciante alle europee. Certo, ha anche accolto la possibilità di un dialogo sulla base del quale “fare del bene” alla legge elettorale, ma quanto realmente ci crede?

Se Grillo fosse andato all’incontro, avrebbe significato qualcosa ma forse con un’accezione negativa. Avrebbe probabilmente rischiato di delegittimare i suoi delegati, dimostrando poca fiducia, insicurezza, un pizzico di paura. E poi ha sempre manifestato il suo interesse a rimanere fuori, a margine, ovvero essere presente come fondatore e far sentire la propria voce ma senza fare il leader perché non si sente tale. Forse avrebbe rischiato di far diventare l’incontro uno scontro fra leader e non fra partiti e avrebbe rischiato di mettere in secondo piano la questione all’ordine del giorno: la legge elettorale.

In sostanza il bilancio può considerarsi positivo. Renzi è riuscito a esporre dubbi e perplessità, Toninelli ha pienamente argomentato il testo della proposta e il dialogo c’è stato. La sfida ora si sposta sull’asse prettamente tecnico: le basi di un confronto ci sono. Saranno disponibili, in casa M5s, a introdurre nella legge elettorale un elemento di ballottaggio che consenta di stabilire chi ha vinto al primo o secondo turno? Risposta in data da definirsi: come dire, il messaggio è stato visualizzato, prendiamoci tempo e al prossimo incontro discutiamo delle modalità con cui concretizzare gli elementi che andranno a comporre la risposta “pratica” verso la legge elettorale. Il Democratellum, Toninellum, Grande Fratellum (ribattezzato dal premier per via delle nomination del voto di preferenza negativa) non è stato bocciato a priori. Integrazione dei due testi? Ai posteri l’ardua sentenza.

[Fonte cover: www.ilgiornale.it]