The playas gon’ play / Them haters gonna hate
Recitava così il ritornello di una canzoncina pop datata 2000 delle 3LW, una giovanissima girl-band R&B. Quel brano, Playas Gon’ Play, si sarebbe rapidamente accomodato senza recalcitrare nel dimenticatoio, non prima però di consegnare al mondo (che si apprestava a cambiare radicalmente) l’espressione “haters gonna hate“. Ovvero, chi odia continuerà comunque a odiare. Troverà sempre una ragione per farlo. Meglio lasciar perdere dunque chi odia. E se passate più di cinque minuti al giorno sui social network, sapete esattamente di cosa si parla.
Non si sa quali siano i motivi che ci spingono ad adottare tale approccio, fatto sta che, ormai da oltre un lustro, Facebook, Twitter et similia hanno sostituito gli stadi (con annessi arbitro cornuto e mamme degli avversari) nel cuore degli odiatori seriali. Che si trovano ogni giorno nell’invidiabile posizione di sfogare il proprio istinto verso bersagli costituiti da nome (o nickname) e foto profilo. Meglio ingaggiare un flame con un utente Youtube a cui non piace il proprio artista preferito o insultare su Twitter il politico/attore di turno? Niente paura, il web 4.0 permette di non avere l’imbarazzo della scelta, c’è spazio per tutto.
Andare contro il vip, però, ha tutto un altro sapore, ammettiamolo: vuoi perchè un conto è insultare cucciolinaxx98, un altro è insultare Gasparri; o vuoi perchè, quando il nostro idolo polemico finisce tra i topic trend, abbiamo la possibilità di spiccare nella folla di chi gioca all’offesa più raffinata, accarezzando il nostro ego e facendo fieramente mostra di quell’elemento chiamata sarcasmo. Ecco, il sarcasmo, un irresistibile Jack Nicholson lo definiva, in un film interpretato a fianco di Adam Sandler, Terapia d’urto, il cugino cattivo dell’ira. Il sarcasmo è in realtà una dote, a patto di utilizzarla con cura e pertinenza.
Cosa che certo non si può dire si verifichi spesso quando i bersagli sono i soliti noti: perchè c’è una cerchia di hated, di odiati, di personaggi di vari ambiti che non ce la fanno a non raccogliere nemici sconosciuti in qualsiasi spazio venga nominato il loro nome. Uno su tutti: Justin Bieber. Volendo però rimanere in casa, va bene pure Gigi D’Alessio. Se si andassero a recuperare i post o i tweet (meglio, perchè l’odio necessita di immediatezza) risalenti ai giorni delle scomparse dei musicisti che nel tempo ci hanno lasciato, il nome del povero Gigi comparirebbe una volta sì, l’altra pure. La freddura più gettonata è: “Signore, rimandaci indietro Artista Scomparso e prenditi Gigi D’Alessio“, seguita da “Spero che D’Alessio viva in eterno, se no ci tocca vedere le sue canzoni postate da tutti“.
Sono battute, non fanno del male a nessuno. Abbiamo imparato, d’altronde, che il web è privo di tabù, dalla religione (une embrassade, amis de Charlie Hebdo) alla morte. Considerare però il bersaglio prescelto non solo un alter ego virtuale dell’artista in questione ma come l’essere in prima persona, costituirebbe un discreto passo avanti nell’utilizzo e nel riconoscimento del ruolo dei social.
Social che tuttavia, inevitabilmente, rappresentano lo specchio di una società disintegrata e al tempo stesso globalizzata. Soprattutto, arrabbiata. Perchè, ogni giorno di più, quando la discussione ricade nello scivoloso terreno politico, le più timide tracce di sarcasmo lasciano il campo all’odio più immediato, verbalmente esplosivo, fomentato dagli stessi esponenti delle correnti maggiormente populiste che amano cavalcare l’onda della rabbia diffusa. Argomento che in ogni caso meriterebbe un trattamento approfondito, mediante magari il supporto di un testo di letteratura psicologica.
Perchè i social sono una cosa seria. E in quanto database perenne dei nostri pensieri, anche dei più bassi, dovremmo sempre tenere in mente che un conto è la discussione al bar con gli amici o in pausa-pranzo, un altro è confrontarsi con gli altri mentre il mondo ci guarda. Quindi, lasciamo perdere gli odiatori seriali. Haters gonna hate.
(Se poi vogliamo proprio prendercela con qualcosa, prendiamocela con l’outfit di Gigi D’Alessio durante il concerto di Capodanno: Gigi, quel bomber no.)
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