“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber e per i nostalgici di rivoluzioni pacifiste potrebbe essere la colonna sonora di quanto sta succedendo nella civilissima Hong Kong. Da una decina di giorni l’isola ex colonia britannica è in reazione e attira riflessioni come non avveniva da qualche tempo. La motivazione la si riscontra in diversi aspetti: primo la relazione con Pechino, secondo la componente giovanile che popola il movimento democratico, terzo la morigeratezza, la civiltà e l’estrema calma con la quale le manifestazioni sono avvenute. Tutto è cominciato con una decisione di Pechino: quella cioè di limitare il potere decisionale di Hong Kong nelle faccende politiche. Il movimento Occupy Central with Love and Peace, che richiama Occupy Wall Street, armato di coraggio e decisione, ha organizzato la protesta andata in onda grazie anche al potere veloce della rete. Cosa succede se il governo centrale cinese ti impone i candidati alle prossime elezioni e pone forti limiti alle prime elezioni a suffragio universale del capo del governo locale che si svolgeranno nel 2017? Hong Kong invade le strade.
Le testimonianze di chi sta vivendo la protesta arrivano anche da connazionali che scrivono sul blog di Beppe Severgnini, Italians, raccontando di ragazzi liceali che protestano dopo scuola e fanno i compiti durante i sit-in per non rimanere indietro con gli studi, o di file davanti ai McDonald’s per assicurarsi un pasto veloce così da poter ritornare al proprio posto di manifestante. L’impressione è confermata dalle immagini: rivolte pacifiche, senso civico, nessuna violenza portata all’eccesso, vetrine rotte, lanci di molotov. Nulla.

Ma Hong Kong è davvero così decisa a manifestare senza sosta contro Pechino? Gli scricchiolii sono parecchi. I manifestanti sono stanchi e qualcuno di loro ha già abbandonato la protesta con relativa rassicurazione di uno dei portavoce che fa sapere che torneranno, hanno solo bisogno di riposare. È chiaro però che se Pechino continua a insistere, cosa ci si può aspettare? Ma c’è un’altra domanda che bisognerebbe porsi: Hong Kong vuole davvero lasciare la testa del treno Cina? La Cina cresce a vista d’occhio, a chi non farebbe comodo farne parte? Pechino e il capo del governo di Hong Kong Leung Chun-ying non arretrano e la stanchezza dei manifestanti potrebbe pesare così come le divisioni sulle sorti future e del movimento e delle proteste. Basti sapere che nel quarto editoriale uscito sul Quotidiano del Popolo ovvero il giornale ufficiale del Partito Comunista Cinese, che affronta la situazione, dichiara che le manifestazioni che reclamano una vera democrazia del territorio in realtà fanno arretrare la democrazia stessa.
I giovani si diceva. La componente maggiore e che forse è quella che più ispira chi guarda da fuori e lontano una situazione che si vorrebbe semplificare con paragoni che richiamano i ragazzi di Pechino del 1989, rimarrà la fotografia di una manifestazione di dissenso di una folla che ci mette la faccia. Tienanmen 2.0 è per ora stata scongiurata se si guarda ai tentativi di dialogo andati a buon fine nelle ultime ore e tolti alcuni feriti lievi e qualche lacrimogeno, la situazione è esemplare.

La forza di manifestare il proprio dissenso, alzare la cresta urlando in faccia a chi impone regole e tentare di non permettere ingerenze che ledono la libertà di scelta civica si è espressa nei giovani, nella generazione che avrebbe dovuto assorbire l’influenza cinese fino a diventarne oggetto e non più soggetto. La cosa curiosa è che la stessa forza e la stessa componente di protesta la si ritrova lontano da Hong Kong, in un Paese totalmente diverso ma che anch’esso non ci sta più a subire: il Messico. Nel Sud del Messico, a Iguala, i giovani hanno avuto meno fortuna. 43 studenti infatti, attaccati da agenti municipali e narcotrafficanti, sono spariti nel nulla. La città è ora sotto il controllo dei federali e le indagini continuano. Lí però è successo l’impensabile perché qualche giorno fa è stata ritrovata una fossa comune dove si teme chiaramente siano stati seppelliti i corpi dei ragazzi che avevano preso parte alle manifestazioni contro le misure discriminatorie in favore degli studenti delle città e contro la riforma dell’istruzione.
Anche Hong Kong qualche tempo fa aveva organizzato una protesta contro le misure prese da Pechino in materia di Istruzione. Le sorti però degli studenti dello stato del Guerrero sono shoccanti e invitano a riflettere anche qui sulla componente che alimenta il desiderio di riscatto, di libertà e partecipazione che sono insite in chi è giovane e crede di poter cambiare le cose perché la forza del fisico e della mente lo possono permettere insieme all’entusiasmo nel credere davvero di poter essere una molla in un meccanismo al quale prendere parte.

I giovani studenti messicani e quelli di Hong Kong che non si potranno mai definire cinesi senza offenderli, insegnando a vicenda cosa voglia dire lottare e credere che le cose possano cambiare. Il problema però è a monte in entrambi i casi: contro chi combatti e contro chi ti schieri? I fratelli con i quali condividi la piazza potrebbero abbandonare la protesta così come chi dovrebbe mantenere l’ordine in realtà semina discordia e addirittura rimane invischiato nell’uccisione di una quarantina di ragazzi. Hong Kong rimane divisa e non solo da Pechino. Se infatti la libertà e l’atmosfera più metropolitana e cosmopolita dell’ex colonia britannica rischiano di rimanere un miraggio con il voltafaccia cinese, la valutazione della protesta potrebbe cambiare. Se le elezioni del 2017 sono solo la punta dell’iceberg della decisione di rimanere in piedi e pacificamente, allora c’è da chiedersi chi e come cambierà la situazione che sembra rotolare verso lo stallo e forse verso un contentino più di facciata che di sostanza.
[Fonte cover: www.ilpost.it]