“I am a real American
Fight for the rights of every man
I am a real American
Fight for what’s right, Fight for your life”
Se siete maschietti e avete più di 25 anni, il ritornello in questione lo ricorderete ancora, perfettamente, a memoria. Perché il testo patriotticamente kitsch e il ritmo accattivante non possono che riportare alla mente uno dei simboli dei gloriosi e ignoranti 80’s, Terrence Eugene Bollea, per gli amici Hulk Hogan.
Ecco, il vecchio Hulk (oggi 61enne) non è che stia attraversando dei giorni esattamente felici: la WWE (World Wrestling Entertainment) lo ha fatto fuori dopo un trentennio in cui Hulk ha rappresentato uno degli emblemi del magnifico e controverso mondo del wrestling statunitense. Una clamorosa diseredazione in piena regola, giunta come un fulmine a ciel sereno, e che sorprende non tanto per la motivazione quanto per tempistica e modalità: la risoluzione del contratto arriva infatti dopo la pubblicazione da parte di The National Enquirer e RadarOnline.com di materiale video (un sex tape, pare) in cui Hulk, conversando amabilmente con la moglie dell’ex amico Bubba The Love Sponge Clem, si è espresso in termini evidentemente razzisti. Non solo: nella giornata di ieri è venuto fuori un altro dialogo, tra Terry e il figlio Nick (in galera per aver causato un incidente stradale) ricco di N-word. Piove sul bagnato insomma, per Hulk.
“I mean, I’d rather if she was going to f**k some nigger, I’d rather have her marry an 8-foot-tall nigger worth a hundred million dollars! Like a basketball player! I guess we’re all a little racist. F***ing nigger.” Un paio di conversazioni private, di cui una pubblicata nel 2012 ma risalente a otto anni fa, per quanto inequivocabili e compromettenti: tanto basta alla WWE per prendere formalmente e sostanzialmente le distanze dall’uomo che per anni è stato simbolo di un certo modo di fare entertainment, cancellando persino il DLC dedicato al suo personaggio nel videogame WWE 2K15. Lui, giudicato dalla IGN il wrestler più famoso degli anni ’80 e ’90. Lui, scelto non a caso da Sly Stallone per una piccola ma memorabile parte in Rocky III (nel ruolo di Thunder Lips).
Decisione eccessiva o severa ma giusta? Difficile a dirsi, facile invece constatare una certa coerenza di fondo della WWE, un’associazione che, per il target a cui si rivolge, fa della finzione una corazza impenetrabile. Anche quando ci si trova a cavallo tra il politically correct e la sana ipocrisia. Tutto deve andare bene, tutto deve necessariamente corrispondere alla netiquette di un circuito che muove annualmente miliardi di dollari e in cui l’immagine dei propri tesserati deve rimanere priva di crepe. E se la federazione non ci ha pensato due volte a scaricare Hulk Hogan, figurarsi se ha avuto scrupoli l’anno scorso, col messicano Alberto Del Rio, licenziato in seguito a una lite con un impiegato della WWE.
Policy ferrea della WWE a parte, ci si sposta ora sul versante della causa. Se prima, per essere svergognati, bisognava fare pubblicamente la frittata, adesso siamo arrivati al punto in cui chiunque può sfruttare qualsiasi materiale (audio o video) contro di noi, in qualsiasi momento, a qualsiasi scopo. L’affaire Crocetta, a casa nostra, è freschissimo. Se perciò per voi, o i vostri figli, sognate un futuro di pubblica gloria, rimuovete con cura dalla memoria dei vostri dispositivi i file dove viene fuori la parte più s*****a di voi: ne va della vostra reputazione agli occhi del mondo. Una reputazione che, ahinoi, Hulk Hogan continua inesorabilmente a perdere cadendo negli innumerevoli scherzi degli spietati utenti Twitter, i quali gli fanno credere di stare ricevendo la solidarietà di vip, spacciandosi goffamente ma efficacemente per loro.

C’è però un altro aspetto meritevole di considerazione, certamente più delicato degli altri affrontati. Il razzismo, retorica a parte, è una bestia dura a morire. Hulk dice che lo siamo un po’ tutti, probabilmente non ha ragione ma non è neppure troppo lontano dal vero. Perché, specie negli Stati Uniti, se visto da una certa angolazione, tutto può essere considerato razzista. Si potrebbe pensare, come dice il New York Post in un articolo di questo mese, che avere un presidente di colore abbia attenuato il problema del razzismo in USA, ma si sbaglierebbe. La questione invece è più ideologica che sociale: è come se – e questo non vale solo per l’America – ci si preoccupasse di smascherare il razzismo, piuttosto che combatterlo alla radice, di additarlo anziché estirparlo. Una buona parte dell’America è terrorizzata dall’idea di poter apparire razzista. Altrimenti la scoperta del discusso prequel de Il buio oltre la siepe non avrebbe fatto a tal punto notizia. Lo stesso si può dire della giovanissima webstar Kylie Jenner, accusata di razzismo solo per aver postato su Instagram un’immagine dove appare con le treccine afro. Una tendenza, questa, che rischia di rendere sterile e retorico il conflitto con un’effettiva piaga.
[Credits Cover: unrealitytv.co.uk]