Da quando si può fare iniziare la storia della lingua italiana?

Se dovessimo pensare non alla nascita di una lingua per la nazione, ma alle prime attestazioni scritte dei volgari parlati in terra “nostra”, probabilmente dovremmo riferirci ad un periodo compreso tra il IX e il X secolo, quando i primi testi scritti erano impiegati per finalità pratiche.

Certamente il processo che ha visto l’evoluzione del volgare è abbastanza lungo e controverso, ma è grazie all’uso scritto dello stesso che possiamo delimitare sulla linea del tempo l’origine di una lingua che ha lottato per secoli pur di ottenere il primato assoluto sugli altri idiomi.

Forse oggi non tutti sanno che l’italiano altro non era che uno dei tanti volgari parlati nel Bel Paese (appunto il fiorentino delle “tre coroneDante, Petrarca e Boccaccio) divenuto poi nel tempo frutto di una evoluzione che prese avvio dal latino, lingua per eccellenza e lingua di Roma.
Fu grazie ai sommi poeti che il volgare fiorentino iniziò quindi ad essere impiegato nella letteratura. D’altronde Dante l’aveva intuito: perché il “sole nuovo”, il volgare, arrivi a splendere definitivamente, dovrà raggiungere una dignità pari a quella del latino, se non superiore.

Forte della resistenza condotta dagli altri volgari instillati dai popoli e dalle culture più disparate che nel corso dei secoli hanno caratterizzato il nostro territorio, l’italiano si è fatto strada tra gli “avversari” linguistici mutando sia a livello fonetico, sia a livello morfologico che sintattico, divenendo solo nel 1861, con l’Unità d’Italia, lingua nazionale, ossia lingua di tutti.

Tuttavia, dopo oltre un secolo e mezzo di unità, i dialetti resistono a testimonianza della ricchezza culturale del nostro paese e della provenienza delle sue genti che, stando ad uno studio condotto alla Sapienza di Roma, hanno contribuito e contribuiscono a fare dell’Italia il paese geneticamente più eterogeneo d’Europa.

Ancora oggi è abbastanza evidente l’influsso delle parlate locali sulla lingua standard, la lingua insegnata nelle scuole. Ciò sicuramente trova una risposta plausibile nelle barriere naturali del nostro paese che nei tempi antichi hanno contribuito a caratterizzare culturalmente le comunità locali.

I dialetti d'Italia e la resistenza all'italiano

Costretti da limiti geografici, quindi, le innumerevoli comunità sparse lungo tutto lo stivale non hanno fatto altro che radicare i propri idiomi, le proprie culture e tradizioni, facendone una persistente peculiarità di date zone territoriali.

Considerando le variabili di sesso, età e formazione scolastica, sono gli uomini (soprattutto anziani) a parlare più frequentemente il dialetto.

Ma è solo a partire dal 2006 (secondo un indagine dell’Istat sull’argomento) che è diminuito progressivamente l’uso del dialetto impiegato in ambienti quali la famiglia o gli amici, a favore, quindi, di una lingua nazionale mista a quella locale (anche se da un punto di vista geografico le regioni del Sud Italia ancora adesso mantengono viva la tradizione del dialetto in diverse situazioni comunicative).

Stando ai dati riportati nella Carta dei Dialetti d’Italia, elaborata da Giovan Battista Pellegrini sui dati dell’Atlante italo-svizzero (Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen 1928-1940) raccolti negli anni venti, nella nostra penisola sono presenti in maggioranza idiomi di origine romanza (provenienti dal latino) seguiti da ulteriori parlate alloglotte, cioè minoranze linguistiche, diffuse specialmente nelle zone di confine come le lingue germaniche (il tedesco nel Triveneto) e slave (Trieste, Gorizia e Udine). Ma anche al sud si registrano minoranze che arricchiscono il paese con idiomi greci (Salento e Calabria), albanese ed indo-arii.

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