Alcuni a casa ci stanno anche bene, quella con i genitori è una convivenza oramai a tutti gli effetti. Altri pensano che vorrebbero provare a mettere piede fuori, ma già sanno che a fine mese non ci arriverebbero. Le storie dei precari sono tante, e diverse, perché il mondo dei disoccupati che non trovano lavoro non è un’entità senza forma. È un esercito a volte silenzioso che ha i volti di giovani, ognuno con il loro passato, e ognuno desideroso di vivere il proprio futuro.
Al di fuori delle percentuali e dei numeri, ora li conosciamo questi volti: a mostrarceli è Simona Hassan giovane fotografa bolognese che nel suo progetto “(Dis)occupazione giovanile – Italians do it better” ha immortalato tanti precari, dal Nord a Sud della nostra penisola. Simona ha toccato diciassette città, ha incontrato ragazzi e ragazze e li ha fotografati nelle loro stanze o in spazi familiari. Le loro storie sono in questi suggestivi scatti, senza filtri o sovrastrutture.
Simona Hassan, fino al 26 marzo è in esposizione a Roma la tua mostra fotografica “(Dis)occupazione giovanile – Italians do it better” un viaggio tra i volti della disoccupazione del nostro Paese.
Ci racconti che tipo di esperienza è stata, dal punto di vista umano e professionale?
Dal punto di vista umano è stato qualcosa di unico e fortissimo. Non avevo mai fatto un’esperienza del genere: incontrare degli sconosciuti, scambiare con loro situazioni e sentimenti molto personali, riconoscerci a vicenda. In poco tempo mi è capitato di sentirmi vicinissima a persone che vedevo per la prima volta e che vivono lontanissimo da me, sia fisicamente che in luoghi molto diversi (culturalmente, storicamente) da Bologna e la sua provincia. È stato grandioso e sento di portarmi dietro, anche grazie a questo progetto, un bagaglio di emozioni, sensazioni condivise che mi fanno sempre ripensare al viaggio con un sorriso chilometrico.
Dal punto di vista professionale lo stesso: è stato unico, a volte difficoltoso perché sento “(Dis)occupazione giovanile” come la prima vera storia che racconto mettendo in gioco tutta me stessa e quindi è stato inevitabile fare tanti errori, trovarsi davanti delle difficoltà. In generale, però, raccontare attraverso la fotografia e viaggiando… insomma, cosa si può volere di più?
Cosa dicono attraverso il tuo obiettivo i volti di tutti questi ragazzi che magari vorrebbero urlare, e non hanno più la forza per farlo?
Beh, non è esattamente così. Le espressioni delle persone che ho ritratto sono varie, le fotografie non parlano, ma lo fanno gli audio-racconti che sono legati ad ogni scatto sul sito internet del progetto (www.disoccupazionegiovanile.it). C’è chi ha urlato, anche se con una certa grazia, c’è chi ha riso tanto, chi è stato in silenzio, chi ha detto che si sta parlando del nostro futuro e delle nostre vite, chi ha parlato di felicità. Io credo sia impossibile dare una visione totale del mondo giovanile oggi, rispetto al tema del lavoro, e non era mia intenzione farlo attraverso il progetto. Semmai ho cercato di dare una visione il più varia possibile e sono convinta che nonostante i momenti incerti e bui di tutti esistono un coraggio e un’energia striscianti che ci permettono (o dovrebbero farlo) di continuare a costruire.

Credits photo: Simona Hassan
Non solo espressioni tristi, ma anche volti sorridenti nei tuoi scatti. Come si ritrova il coraggio per non abbattersi?
Io penso che la maggioranza di noi ventenni/trentenni abbia la possibilità, grazie ai nostri genitori e nonni, di poter dire di no, di poter pretendere un lavoro dignitoso, quindi innanzitutto pagato, e che abbia le adeguate tutele. Il lavoro è un diritto, al contrario di quanto sostiene qualcuno, ed è uno dei principali mezzi per permettere alle persone di raggiungere la propria indipendenza (in primis economica). La maggior parte di noi, e parlo per quanto ho potuto vedere ovviamente, vive in situazioni in cui può permettersi di dire di no, anzi deve farlo. Abbiamo la possibilità, oggi, di cambiare le cose: un certo meccanismo si è rotto, è evidente che la direzione in cui si sta andando non è quella giusta… e allora cambiamola. Non abbiamo niente da perdere se non la possibilità di poter trasformare questo “immenso smarrimento” in “immensa libertà”.
Dai volti ai luoghi: cosa raccontano invece i loro spazi?
Gli spazi sono luoghi che si amano, luoghi in cui ci siamo noi, le nostre contraddizioni, i nostri percorsi, gli errori, il nostro tempo passato, quello che siamo stati e che siamo. Sono luoghi in cui ancora ritroviamo le tracce della nostra adolescenza, sono le stanze che avevamo da bambini (perché non abbiamo un lavoro che ci permetta di staccarci del tutto dai nostri genitori), sono il simbolo di una precarietà che da lavorativa diventa esistenziale.

Credits photo: Simona Hassan
La mostra si inserisce nel progetto disoccupazionegiovanile.it reso possibile grazie a una campagna di crowdfunding, ci racconti com’è nato?
Il progetto è nato nell’estate di due anni fa. Mancavano pochi mesi alla fine dei miei studi e le preoccupazioni erano tante: cosa succederà dopo, come riuscirò a farcela con questa crisi, cosa mi aspetterà davvero, quando uscirò di casa!? Inoltre, era il 2013, i media ci martellavano l’esistenza con l’aggiornamento (in aumento) della percentuale di giovani disoccupati, quasi come fosse un ritornello, riducendo le nostre esistenze, le preoccupazioni, i dubbi, le domande, i bisogni a un mero e freddo numero. Da qui ho pensato di prendere in mano la macchina fotografica e raccogliere le storie di amici e amici di amici a Bologna, dove vivo.
L’idea era/è quella di rimettere al centro le persone e i loro desideri, le loro difficoltà, i sogni e i bisogni. Pensare di estendere il progetto a tutta Italia è stato semplice: Bologna è una città attraversata e vissuta da giovani di tutto il paese.
L’idea del crowdfunding invece (ne approfitto per ringraziare con tutto il cuore Vizibol, la piattaforma che ha ospitato il mio progetto!) mi è venuta perché non avevo modo di finanziarmi il viaggio e non volevo rinunciare. Così ho pensato che era doveroso provare ad ottenere in questo senso una spinta collettiva per il racconto di una storia allo stesso modo di tutti.
Dopo l’esposizione romana la tua rassegna fotografica continuerà a viaggiare per l’Italia, dove sarà possibile vederla?
Sì, dopo Roma la mostra si sposterà a Pesaro e probabilmente a Bologna. Le altre tappe – le storie sono sempre in viaggio! – sono ancora da organizzare, ma spero che il progetto continui a viaggiare e a raccontarsi.

Credits photo: Simona Hassan
Hai all’attivo diverse mostre fotografiche su temi di rilevanza sociale e hai vinto con un tuo scatto anche il concorso nazionale indetto dall’UDI Unione delle donne in Italia.
Cosa ti piacerebbe immortalare nel tuoi prossimo viaggio fotografico?
A dire il vero non lo so. Ho in mente diverse cose al momento, ma sto aspettando il ritorno delle energie che l’inverno mi ha rubato, probabilmente continuerò a costruire qualcosa sul lavoro, però questa volta raccontato da un altro punto di vista. In generale sono in un periodo della mia vita dove sono trasportata da occhi e gambe in giro per il mondo, ma stomaco e cuore guardano molto vicino a casa. Forse il prossimo viaggio sarà più personale, intimo, chi lo sa…

Credits photo Simona Hassan
Per concludere, ci lasci con un messaggio, un anedotto, che ti è rimasto attraverso quest’esperienza?
Qualcuno, in viaggio, mi ha detto che preferisce contare gli spiccioli per pagare l’affitto piuttosto che stare a regole e tempi non suoi. Il tempo è l’unica cosa importante, il nostro tempo è la nostra vita. Abbiamo l’inesperienza necessaria per pretendere di essere felici e dobbiamo farlo: pretendere, lottare, dire di no, resistere e camminare finché non avremo raggiunto quello che davvero ci fa stare bene. Non è per niente facile, ma io voglio essere felice e voglio esserlo ora.
Sempre quel qualcuno ha detto che “si può fare”: ci siamo fissate mezzo secondo e ci siamo messe a ridere.
[Credit Cover Photo: Simona Hassan]