Leonardo, Seedorf, Inzaghi. Nel mezzo Allegri, l’unico capace di riportare lo scudetto nella Milano rossonera negli ultimi anni. Una strana mania quella della dirigenza rossonera, se c’è ancora una dirigenza con una chiara visione a Milano: quella di affidare la panchina ai non allenatori. Fa eccezione Allegri, appunto. Uno che anche con la Juventus sta dimostrando di saperci fare, eccome. Leo era un bravissimo dirigente, prima di sedersi su quella panchina. Uno scopritore di talenti, grande esperto di pubbliche relazioni, una sorta di diplomatico del calcio. Non ha fatto malissimo, ed è riuscito persino a conquistare una Coppa Italia con L’Inter del dopo Mourinho. “Io sono un uomo libero“, disse prima di firmare per Moratti. Talmente libero che, a fine stagione, ha chiuso con la panchina per tornare a fare quello che sa fare il meglio: il dirigente. A Parigi.
Quella di Seedorf è una storia diversa. Galliani si era talmente invaghito di lui da arrivare ai ferri corti con Barbara Berlusconi e da convincerlo a chiudere anzitempo la carriera da calciatore, prenotandogli un volo di sola andata dal Brasile a Milano. Detto fatto, Seedorf atterra a Milano, ma non riesce a portare la squadra in Europa League. In realtà la squadra non gioca male, vince il derby e sfiora una rimonta importante. Ma qualche elemento del gruppo storico gli si mette contro e Barbara coglie la palla al balzo per promuovere Inzaghi, dalla primavera alla panchina della squadra più titolata del mondo. E qui inizia la nostra storia.
Il Milan non è una squadra qualunque, è deprimente vederlo per due anni di fila a metà classifica, e lontano dalla sua tana: l’Europa. Il Milan, che è stata una delle prime Società a lanciare un Lab per valutare la condizione atletica dei giocatori, non è un laboratorio dove gli allenatori possono fare esperienza. Di Guardiola ce n’è uno solo, e in Italia questa tesi è stata ampiamente dimostrata. Non è Guardiola Antonio Conte, che prima di diventare il signor allenatore che è oggi è retrocesso ad Arezzo, ha fatto esperienza con De Canio a Siena e si è fatto le ossa trionfando a Bari. E non è bastato. È ripartito da Bergamo ottenendo una delle più grandi umiliazioni della sua vita. Ha rifatto le valige ed è sceso nuovamente in serie B, a Siena. Solo successivamente si è ripreso la Juventus.
Ma Inzaghi è uno di casa Milan, si dirà. Verissimo, era di casa Milan anche Carletto Ancelotti, uno dei più bravi allenatori del mondo (non amo gli assolutismi). Magari non tutti ricordano che Ancelotti ha iniziato dalla Reggiana, in serie B. Ha allenato a Parma, ha raccolto, per lo più fischi, a Torino, sponda Juve. Solo successivamente ha preso le redini del Milan, portandolo sul tetto del mondo. Le grandi storie passano anche per gli insuccessi. Soprattutto in Italia, dove il livello del calcio si è certamente abbassato, ma lo stress da panchina è rimasto intatto. Ne sa qualcosa Arrigo Sacchi, accostato a più riprese, con un pizzico di incoscienza, è certo, al grande ritorno. Molto romantica come ipotesi, ma assai poco praticabile: l’Arrigo nazionale soffre infatti di stress da panchina, e già una volta (a Parma) accettò l’incarico salvo poi pentirsi e lasciare.
Altra considerazione: Sacchi ha costruito le sue fortune con uno schema difensivo che annullava le velleità avversarie con il fuorigioco. Oggi il fuorigioco è diventata una tattica offensiva, vedi gol di Caceres a Napoli, quello di Destro a Palermo, gli schemi su calcio piazzato di Sampdoria ed Empoli. A meno che Sacchi non abbia radicalmente cambiato il cuo modo di vedere il calcio, un su ritorno sarebbe una follia. Inzaghi ha fatto vedere poco, inutile girarci intorno. Nelle prime giornate il suo Milan correva e aveva fame. La grinta di Pippo si vedeva e faceva la differenza. Ma una stagione non la porti avanti con la grinta. Bisogna saper gestire i momenti difficili, leggere le partite, conoscere gli schemi avversari. Non che Inzaghi non studi, ma in campo non mi è mai sembrato uno particolarmente interessato a queste dinamiche.
Non è un caso, forse, che sulle panchine delle principali panchine europee non ci siano grandi bomber, soprattutto se egoisti come lui. Inzaghi era il più abile a vedere la porta, giocava d’istinto. Lo stesso istinto che sembra avere oggi il suo Milan, con meno fame. Sarebbe stato interessante vederlo su una panchina di serie B prima. O come sta facendo Stramaccioni rimettersi in gioco in una piazza come Udine. Fatto sta che il Milan ha tremendamente bisogno di un allenatore. Uno che sappia come mettere i suoi giocatori in campo, uno che sappia leggere la partite. Forse questo Milan non è da scudetto, ma nemmeno da metà classifica. Sempre ammesso che il Milan abbia una Società e un Presidente. Non sarà facile uscire da questo impasse, il Milan è certamente una delle squadre più difficili da vendere. Con un marchio tra i più prestigiosi al mondo, quindi di grandissimo valore, e una squadra di medio basso linciaggio, per di più in un campionato, quello italiano, non tra i più attraenti. Non sarà facile, ma il Diavolo ha superato momenti peggiori. In bocca a lupo.
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