Le vedi le facce dei ragazzi: sono allibiti, non pensavano di ritrovarsi all’improvviso dentro un incubo del genere. Le parole di Galloppa sono durissime: “Adesso siamo degli eroi perché vogliamo giocare, ma due settimane fa eravamo solo dei brocchi perché siamo ultimi in classifica. Non può funzionare così il calcio, non si può circoscrivere tutto al denaro“. Alessandro Lucarelli, il capitano, ha lo sguardo di chi non ha intenzione di venire a patti con nessuno. Né con Ghirardi, né con Manenti (e chi l’ha mai visto?), né tantomeno con Tavecchio. “Dice di ritenersi tranquillo Tavecchio, che domenica scenderemo in campo, io non ne sarei così sicuro. Il signor Tavecchio dovrebbe venire a fare un giro a Parma, e capire cosa sta succedendo“.
Ci sono stato io nella vecchia isola felice. Lo dicevamo tutti, di Parma, pur sapendo che in quell’isola si annidavano misteri e segreti. I trucchi di una multinazionale, la Parmalat, capace di un crack finanziario senza precedenti, un’azienda che ha consentito ad una squadra di calcio di vivere oltre i propri limiti. Parma è provincia, ma mai come in questa storia è stata metafora di un Paese intero, l’Italia, una nazione che per decenni ha vissuto oltre le proprie capacità. Non ci sono soldi per mangiare? Pazienza, si fa un mutuo e ci si compra il telefonino di ultima generazione. E magari la macchina di lusso per andare in giro la domenica. E così il Parma ha comprato e mantenuto gente come Thuram, Cannavaro, Crespo, Taffarel e molti altri. Ci andava bene, perché quella provincia che spende e spande, che arriva sul tetto d’Europa investendo in tutto il mondo (Brasile, Argentina, Russia) era una perfetta metafora del miracolo italiano, che negli anni ’90 ha portato questo Paese a credere che primeggiare fosse l’unica cosa davvero importante.
Disastri su disastri, colpevoli su colpevoli, Coppe vinte sul campo, meritatamente certo, mentre altre squadre tiravano la cinghia per salvarsi, o retrocedevano in serie B. Oggi quelle stesse Coppe sono a rischio ipoteca, i ragazzi degli allievi di Pizzi vengono rimandati a casa perché “non si gioca se prima non pagate il campo”, i giardinieri sono costretti ad interrompere la loro attività, e i calciatori prenderanno le loro macchine per andare a Genova a giocare. Il Parma deve fallire. È giusto così. Perché non ha senso salvare una squadra, per quanto gloriosa, che ha vissuto oltre i propri limiti. Perché è nella natura delle cose farlo, esistono solo metodi diversi, qualcuno più vicino all’eutanasia, qualcuno più violento. Il Parma deve fallire perché così è stato a Firenze, a Napoli, a Bari, a Taranto, a Piacenza e in tantissime altre piazze. E non c’è stata una volta che i fallimenti non si sono rivelati la soluzione migliore: a Napoli, in serie C, si è visto lo stesso entusiasmo che si vedeva ai tempi di Maradona. A Firenze Riganò ha giocato a fare il Batistuta contro il Fiorenzuola e la Pro Sesto.
Il Parma deve fallire perché non è una tragedia ricominciare da zero lì dove si è sperperato per anni, lì dove ci si è abituati a vivere un calcio che non è nelle corde della città. Tavecchio annuncia misure per aiutare il Parma a concludere il campionato, eppure non sembra essere questa la migliore delle ipotesi. Non è la FIGC a dover salvare il Parma. Semmai doveva essere la FIGC a controllare che tutto fosse in regola per l’iscrizione. Sono i tifosi che hanno l’onere di salvare il Parma, indipendentemente dalla serie. L’anno scorso, a Bari, dopo che i Matarrese portarono i libri in tribunale, i tifosi e gli “occasionali”, assieme, inziarono a sostenere seriamente la propria squadra, diventando gli unici responsabili della sopravvivenza della stessa fino al giorno dell’asta fallimentare, e oltre. Siamo sicuri che a Parma i tifosi non sarebbero da meno.
Perché quando vedi il calcio morire, allora anche una città orgogliosa come Parma può tirare fuori la passione, e tornare ad emozionarsi per una partita, indipendentemente dalla categoria, dalla serie, dai giocatori. La FIGC deve pensare a salvaguardare la dignità dei professionisti che oggi indossano la casacca del Parma, alla maglia, ai colori gialloblu, ci pensino i tifosi, come è sempre stato. Manenti si sbrighi a portare i libri contabili in tribunale, e Parma tornerà ad entusiasmarsi, ricominciando da dove questa storia è stata gonfiata fino all’inverosimile, con ambizioni europee e intercontinentali che forse poco avevano a che fare con l’isola felice. Perché un’isola può essere felice anche con molto meno. E la gente di Parma, abituata a lavorare, sudare e a costruire su fondamenta solide e non su castelli di carta, questo lo sa bene.
Credits Cover: Parma FC (Pagina Facebook)