In questi anni si sta parlando sempre più dell’economia del nostro paese: vuoi per la crisi oppure banalmente per svariate questioni di sviluppo, le questioni inerenti il lavoro in Italia sono spesso al centro delle discussioni politiche e non. Uno degli aspetti più considerati della questione riguarda sicuramente il ruolo delle persone immigrate nel sistema Italia: c’è chi dice che essi ci rubano il lavoro e chi invece sostiene che, se loro non ci fossero, interi settori economici sarebbero morti per la mancanza di italiani che vogliono dedicarsi a determinate mansioni.

La questione è inevitabilmente complessa e da analizzare sotto vari aspetti: innanzitutto va inquadrato il “problema” all’interno di un’Italia che si è evoluta e che ha visto cambiare radicalmente i ruoli tradizionali delle persone e del loro ruolo nella società. Se solo cinquant’anni fa fosse stato chiesto il ruolo della donna nella sua vita la risposta di molti (probabilmente la maggioranza) sarebbe stata: le donne devono badare alla casa e alla famiglia. Fortunatamente il mondo in questi anni è cambiato, e una sempre maggior percentuale di donne è impegnata (e impiegata). In un contesto del genere non dobbiamo quindi stupirci se quello della colf è diventato un mestiere sempre più diffuso e che vede lavorare per la maggior parte persone straniere. Le donne di oggi hanno avuto la possibilità di lavorare e (giustamente) di mettersi alla pari degli uomini e sarebbe impensabile che esse desiderassero tornare alla collocazione che avevano in passato. In questo caso dunque non è affatto vero che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani, ma essi si sono inseriti in un settore che era stato abbandonato a causa del “progresso”.

Un ragionamento analogo si può fare per una questione sollevata dal sindacato di categoria dei commercianti al dettaglio che, qualche mese fa, si è scagliato contro la “concorrenza sleale” dei colleghi cinesi che osservavano orari disumani tenendo aperti i loro esercizi fino a venti ore al giorno. E se si provasse a considerare il fatto che le persone straniere abbiano portato in questo paese un modo di lavorare diverso da quello radicato in Italia da tempo? E se poi capissimo che non è necessariamente un sistema sbagliato ma un cambiamento che risponde a determinate esigenze?. A Milano i tanto odiati cinesi hanno portato un po’di movimento anche di notte nelle dimenticate vie di periferia, se vogliamo luoghi sicuri dove ritrovarsi e fare due chiacchiere senza spingersi nell’affollato (e costoso) centro cittadino.

Non bisogna demonizzare chi lavora di più, e una conferma a questo punto di vista è stata data dal decreto di liberalizzazione del commercio arrivato un anno fa a Palazzo Chigi: chi vuole lavorare di più ha il diritto di farlo senza ostruzionismi. Per quanto riguarda invece le critiche sugli scontrini emessi, a molte persone capita di riscontrare una maggiore emissione da parte di negozianti stranieri piuttosto che da alcuni italiani, che spesso vantano “conoscenze” tali da non dover stampare neanche una ricevuta senza rischiare di incorrere in qualsivoglia sanzione. I prezzi? Sono anche quelli liberi, ognuno ha il diritto di stabilire il margine di guadagno che vuole ottenere dal suo lavoro e ci sono apposite leggi volte a limitare il fenomeno del sottocosto nelle piccole attività.

Forse noi italiani ci siamo addormentati sugli allori del “sabato pomeriggio chiusi” o del “torno subito” ed intorno a noi il mondo è cambiato. Una nuova concorrenza è arrivata e, nel bene e nel male, ognuno di noi è tenuto nel suo piccolo a rispondere delle esigenze sempre più frenetiche della società odierna, oppure può accontentarsi di veder ridotti i suoi guadagni contro quelli di nuovi lavoratori più validi (i tanto odiati “immigrati”). Se nelle aziende le ore di straordinario sono pagate meglio, perché nell’ambito dei liberi professionisti la legge non deve essere la stessa? Un ristorante o un bar che lascia alzate le serrande più di un altro logicamente guadagna di più, e ci mancherebbe che non lo facesse. In Italia troppo spesso confondiamo nell’ambito della concorrenza i termini “libera” e “sleale”: un concorrente sleale è quello che, pur di vendere e screditare gli avversari, introduce prodotti sottocosto, mentre un concorrente libero è quello che, conscio della mole di lavoro da affrontare, accetta per un maggior guadagno di tenere la serranda alzata più degli altri (che saranno liberi di adeguare i propri orari).

Se pretendiamo di vivere nel villaggio globale dobbiamo valutare sia i vantaggi che gli impegni che vanno presi per adeguarsi agli standard di un mondo che cambia; dobbiamo anche renderci conto che un nuovo tipo di concorrenza ci sta venendo incontro, ricordandoci sempre che ogni scontrino battuto da uno straniero la mattina presto o la sera tardi produce reddito anche per noi.