Gaza: una terra martoriata, un destino segnato da quando nel 1947 l’Occidente ha deciso che sarebbe stato corretto risarcire gli ebrei tartassati dal dramma della Shoah dandogli un Paese, quella “terra promessa” oggi conosciuta come Stato di Israele.

Ma fino a dove si può parlare di diritti di un popolo? Qual’è il limite etico e sociale che Israele non può scavalcare nonostante sia nato dalle macerie della devastazione nazista?

La comunità internazionale avrebbe dovuto immaginare le conseguenze di un atto coercitivo a danni di popolazioni che abitavano quelle terre da sempre, ma probabilmente dopo la fine della Guerra era più la voglia di lasciarsi alle spalle gli anni più tragici della storia europea, piuttosto che fermarsi ad immaginare i possibili rischi derivanti da nuovi odi, da nuove guerre religiose.

Il terreno sul quale si cammina nel cercare di analizzare obiettivamente quanto accaduto è davvero fragile, ed è facile essere tacciati di antisemitismo non appena si cerca di comprendere lo stato d’animo della popolazione palestinese; d’altronde difficile dare torto alle migliaia di ebrei di quella generazione, a chi si è ritrovato senza una casa e privati dei propri affetti per la pazzia hitleriana, e ancora più difficile mettersi a priori contro un popolo che ha subito un genocidio senza precedenti. Ma quella che poteva essere una coabitazione è diventata un’emarginazione, quello che poteva essere uno Stato ideale nato in risposta alle barbarie della guerra, si è trasformato in una zona di morte. La geografia però, nella sua disarmante schiettezza, lascia pochi dubbi, almeno per ciò che riguarda il mutamento dei giochi di forza in questi decenni.

[ Credits photo: www.conchidortos.org ]
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Hamas non è la Palestina

Identificare il popolo palestinese nel suo insieme con Hamas è un alibi che alleggerisce spesso le coscienze di molti commentatori politici. Dare a quello Stato ( non riconosciuto ) il volto estremista e violento di una cellula religiosa e armata, equivale a giustificare a prescindere ogni possibile reazione israeliana e a vedere in questa la risposta occidentale e democratica.

Ma Hamas non è la Palestina, Abu Mazen è ciò che di più lontano si potrebbe immaginare da un leader fanatico e irragionevole. La Palestina, quella vera, formata da cittadini pacifici, è quella delle migliaia di profughi costrette a rifugiarsi in territori sempre più limitati per scappare alle bombe e alla follia voluta, quella si da Hamas e a cui Israele risponde con uno strapotere economico e militare.

Credits photo: [ guysfromarea51.blogspot.com ]
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Questa semplice foto sembra il simbolo di quanto lontana sia la sofferenza del popolo palestinese, dalla voglia cosciente di fare guerra di Hamas.

Le colpe israeliane

Un popolo che ha conosciuto la sofferenza come pochi, dovrebbe avere dentro di sé una preziosa memoria storica per evitare di ricommettere errori del passato. Se c’è una colpa che può essere data ad Israele è quella di aver compreso la propria supremazia sul territorio, avere iniziato un’emarginazione coatta del popolo palestinese, aver cercato la pace ma essere caduta nelle provocazioni di Hamas, e aver utilizzato di fatto quel conflitto come molla per poter dominare con la forza l’intero territorio d’Israele.

Non credo ci sia, come è ampiamente diffuso in spicchi di opinione pubblica italiana, soprattutto di estrema sinistra, un genocidio programmatico da parte di Israele, ma credo senz’altro che un Paese che si dichiara maturo e democratico non possa proseguire su questa strada.

Credits photo: [ ilfattoquotidiano.it ]
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Una guerra “non guerra ”

Definire guerra uno scontro con un dislivello di forze in campo come quello tra esercito israeliano e forza armate palestinesi sarebbe ridicolo. Così come immaginare che la guerriglia fatta di piccoli attentati di Hamas possa in altri modi contrastare in una vera battaglia le armi israeliane.

L’altro giorno l’ambasciatore brasiliano in Israele è stato richiamato in patria per il dissenso che il Paese sudamericano ha espresso nei confronti di quella che il governo brasiliano definisce una “reazione sproporzionata” da parte degli israeliani.

La risposta di Yigal Palmor, portavoce del ministero degli Affari esteri israeliano, è stata abbastanza scioccante: “sproporzionata non è la nostra offensiva a Gaza, ma perdere una partita di calcio 7-1 “.

Ecco forse se si iniziasse a capire perchè determinati soggetti con determinate idee sono in quei posti istituzionalmente così rilevanti di potere in Israele, si potrebbe anche iniziare a capire perchè la pace, voluta dai più, sembra un’utopia.

[ Credits foto in evidenza: formiche.net ]