Crescita zero. Questa, in sintesi, la situazione attuale della popolazione residente in Italia. Lo rende noto l’Istat, sottolineando come i flussi migratori a stento riescono a compensare il netto calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti) che ha fatto registrare un saldo negativo di quasi 100 mila unità, un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale). Il Belpaese nel 2014 è arrivato a contare 60.795.612 unità, con un aumento di appena 12.944 rispetto all’anno precedente. Una delle conseguenze che più spaventa è il progressivo ed incalzante invecchiamento della popolazione.

L’Italia è una nazione in pareggio. Quasi 12 mila nati in meno rispetto al 2013, tendenza seguita anche dai nati stranieri (-2.638), che comunque rappresentano il 14,9% del totale dei nati. Dall’altro lato, il tasso di mortalità resta stabile, con una lieve diminuzione in valore assoluto (-2.380). A fare da contraltare al movimento naturale della popolazione che presenta un conto negativo di quasi 100 mila unità, l’aumento delle acquisizioni di cittadinanza: sono, infatti, circa 130 mila i nuovi cittadini italiani (+29%) che portano a 200 le nazionalità presenti nel nostro Paese.

Uno dei processi di maggiore rilievo conseguenti a questo stato di cose è rappresentato dall’invecchiamento demografico, non solo per l’effetto che esso avrà sulla struttura e sulla composizione della nostra popolazione, ma anche e soprattutto per le implicazioni di natura sociale ed economica. Si stima che il processo di invecchiamento avanzerà in maniera progressiva giungendo nel 2050 a modificare ulteriormente la struttura per età della popolazione, con una quota di anziani oltre due volte e mezzo la quota di giovani. Un fenomeno che, già da qualche anno, sta portando all’attenzione dell’opinione pubblica, dentro e fuori dall’Italia, molte questioni importanti in relazione ai necessari riassetti del mercato del lavoro, dei sistemi pensionistici e fiscali a seguito delle condizioni di contesto in via di mutamento. Già nel marzo del 2000 il Consiglio Europeo di Lisbona, al fine di mantenere la sostenibilità dei sistemi economici e sociali europei, aveva stabilito l’obiettivo generale di raggiungere un tasso di occupazione pari al 70% con misure come l’incremento della partecipazione dei lavoratori (in particolare quelli maturi e anziani) al mercato, l’aumento dei tassi di occupazione femminile e il prolungamento del periodo lavorativo disincentivando l’uscita prematura dal sistema produttivo.

Una tendenza demografica come quella fin qui presentata equivale a una vera e propria sfida per l’economia e la società del nostro Paese. I principali motivi di preoccupazione giungono da diversi fronti. Innanzitutto, lo sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane potrebbe determinare una contrazione della partecipazione al mercato del lavoro e limitare l’attività imprenditoriale, dato che gli anziani sembra cerchino la sicurezza piuttosto che la nuova avventura. Potrebbe, inoltre, generare forti tensioni nei bilanci pubblici a causa delle crescenti spese pensionistiche e sanitarie in un contesto di tendenziale riduzione delle basi del prelievo fiscale. L’invecchiamento della popolazione andrebbe, quindi, a ridisegnare la struttura e il profilo demografico del nostro Paese, ridefinendo la forma e i significati del nostro sistema generazionale, con conseguenze abbastanza forti su tutto il sistema economico nel suo complesso.

La capacità di reagire del sistema economico stesso, o addirittura di intervenire preventivamente, rappresenterà un crocevia importante che definirà il grado di complessità e di problematicità che il sistema Italia dovrà affrontare. Se da una parte, quindi, chi governa il Paese deve continuare a promuovere fortemente le politiche giovanili che consentano una semplificazione nell’immissione nel mondo del lavoro di forze fresche, dall’altra è necessario far fronte a questa nuova sfida, imponendosi innanzitutto il raggiungimento degli obiettivi europei, operazione imprescindibile per il mantenimento del benessere sociale e per garantire la sostenibilità dei sistemi di welfare. La creazione e il mantenimento di una forza lavoro che comprenda tutte le età svolgono, infatti, un ruolo di primaria importanza. A sua volta, la costruzione di un mercato in cui le competenze e le capacità abbiano più peso dell’età anagrafica implica l’introduzione e il potenziamento, ove già vi siano, di sistemi di istruzione e riqualificazione a carriera avanzata. Si palesa, dunque, necessario la rivalutazione dei processi di life long learning, ossia dell’aggiornamento progressivo delle abilità e delle competenze che agevolino l’incontro tra i bisogni e le esigenze di una popolazione che invecchia e quelli di un mercato e di un’economia in continuo divenire. Solo in questo modo le competenze e le capacità dei lavoratori risponderebbero in maniera più proficua ai bisogni del mercato e ne risulterebbe migliorato anche il prolungamento della vita attiva degli individui.

Mantenere nel tempo una base di popolazione attiva più ampia e maggiormente qualificata sembra, dunque, essere una delle poche vie in grado di contrastare in maniera adeguata gli squilibri economici che ineluttabilmente si ingenerano in una popolazione che invecchia. E come molto spesso accade, la sfida posta dal mercato del lavoro diviene una sfida anche per i sistemi culturali ed educativi della nostra Italia. Perché non sia (solo) un Paese per vecchi.

[Cover credits: Ph. Mia Felicita Bertelli/Flickr]