Pizze gonfie, zuppe, vino, olio o formaggio che hanno poco o nulla di italiano. A volte nemmeno il nome, che viene storpiato più o meno inconsapevolmente per evocare vagamente la denominazione di prodotti tipici e riportare a quelle che sono le tradizioni del Bel Paese in campo culinario. È così che il parmigiano reggiano, il formaggio più amato a livello internazionale (e anche uno dei più copiati) diventa parmisan, parmisao, regianito o pamesello.
Recandoci all’estero, sugli scaffali dei supermercati troviamo spaghetti in scatola, pronti da gustare, mentre ristoranti e bar inseriscono nei propri menù specialità il cui nome suona “all’italiana” ma il cui contenuto non corrisponde affatto alla denominazione data. Si tratta dell’italian sounding, quel business delle contraffazioni imitative, che sfrutta il marchio della Penisola su prodotti che hanno poco o nulla a che fare con quelle che sono le specialità nostrane. Un giro d’affari che vale circa 60 miliardi di euro l’anno, in grado di minacciare il Made in Italy, andando a pesare sul rapporto qualità/prezzo.
Ed è proprio la difesa e la celebrazione del Made in Italy una delle prerogative del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina presente al Fancy Food di New York, una delle cinque fiere agroalimentari più importanti al mondo. È in questa occasione che Martina ha ribadito l’importanza di garantire una maggiore tutela alle Indicazioni geografiche per mettere un freno al fenomeno dell’italian sounding, molto frequente negli Stati Uniti.
“Per noi questo nuovo accordo commerciale è fondamentale” – ha detto Martina. “Garantire e chiarire l’origine dei prodotti, il Paese di provenienza e condividere con gli Stati Uniti un buon sistema di etichettatura e di tracciabilità aiuterebbero molto a valorizzare i prodotti italiani”. Anche la responsabile del marketing di Grana Padano, Elisabetta Serraiotto, presente al Fancy Food si è espressa a riguardo: “In molti usano la nostra bandiera e nomi che richiamano l’italianità. I prodotti originali italiani costano di più, è vero, ma il consumatore deve essere consapevole che a fronte di una cifra importante ha la garanzia di portare in tavola la sicurezza e la qualità del Made in Italy.”
I prodotti contraffatti che richiamano l’Italia all’estero giocano proprio su questo rapporto, togliendo alla qualità e giocando sul prezzo, molto più accessibile per il consumatore medio. Questo è infatti uno dei motivi per cui questo giro d’affari è funzionante e produttivo e trova riscontro nella popolazione. Secondo un’analisi del mercato statunitense effettuata da Cembalo et Al il consumatore medio tiene poco conto del paese di origine di determinati prodotti, prestando invece maggiore attenzione al rapporto qualità/prezzo.
La possibilità di confondere un prodotto Made in Italy con uno che suona soltanto come italiano non viene considerata dallo stesso un problema, ma un’opportunità di comprare un prodotto di qualità media a un prezzo competitivo. Un po’ come avviene in Italia con i prodotti cinesi o quelli contraffatti, che imitano i prodotti delle grandi marche. L’importante è poter avere un prodotto più o meno simile a quello originale a un buon prezzo, mentre la qualità passa in secondo piano, non più fondamentale.
Una delle tante facce della crisi, che compromette la tradizione genuina italiana, che si sta cercando di difendere e salvaguardare. La protezione del nome è solo uno degli aspetti chiave per difendere ogni prodotto agroalimentare italiano che da sempre affascina per l’aspetto genuino e vero, impossibile da imitare. La campagna di difesa è partita quindi con forza dal Fancy Food per arrivare tra mille polemiche anche all’Expo 2015, con un unico obiettivo: valorizzare in maniera pulita i sapori dell’Italia, e non solo.
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