Nei giorni scorsi il famoso giornalista e scrittore Beppe Severgnini ha raccontato sul Corriere della Sera un episodio molto curioso. Una domenica di ottobre durante la lettura dei quotidiani organizzata in un museo di Milano, ha provato a porre ai presenti delle domande di cultura generale ricevendo risposte molto lontane della realtà.
Presumibilmente chi frequenta musei sono persone dotate di una certa cultura e se anche cittadini istruiti e informate dimostrano di ignorare certi dati, significa che non si tratta di superficialità e nemmeno di sciatteria. Non influisce la poca dimestichezza con numeri e statistiche. Stiamo parlando, invece, di una percezione sbagliata. Anzi, di una trasposizione: i timori diventano realtà.

Non c’è da rimanere troppo basiti, perciò, quando si leggono i risultati di un sondaggio Ipsos Mori, condotto in 14 Paesi. Titolo: The Ignorance Index . Questo «indice dell’ignoranza» vede noi italiani ingloriosamente primi. Meglio di noi Usa, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Francia, Canada, Belgio, Australia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Germania, Svezia (la nazione più informata).

socrate

Ecco qualche esempio delle risposte in Italia? «Quanti sono i musulmani residenti?». Risposta: il 20% della popolazione! (in realtà sono il 4%). «Quanti sono gli immigrati?» Risposta: 30% ( 7%). «Quanti i disoccupati?» Risposta: 49% (in effetti 12%). «Quanti i cittadini con più di 65 anni?». Risposta: 48% (sono il 21%, e già assorbono una fetta sproporzionata della spesa sociale).
Sono dati molto sconvolgenti poichè il dibattito pubblico italiana inizia da qui, da un insieme di percezioni totalmente errate. La politica – che pure dovrebbe essere a conoscenza della situazione – non si preoccupa di ripetere i dati corretti. Sfrutta la nostra ignoranza, invece. Ci costruisce sopra proposte, programmi, allarmi, proteste. Immaginiamo Matteo Salvini che ad un raduno della Lega Nord dica i veri dati sugli immmigrati. Non lo farà mai. Le sue fortune politiche sono fondate sull’ansia e, quindi, Tutto quello che contribuisce ad accrescerla è benvenuto.

matteo-salvini

Ovviamente non c’è solo la Lega a far leva sulle paure dei cittadini e forse può consolare che non solo in Italia la gente abbia un’opinione distorta della realtà. Prendiamo il numero delle gravidanze durante l’adolescenza. In America sono convinti che il fenomeno riguardi il 25% delle teenager : in pratica che un’adolescente su quattro, ogni anno, metta al mondo un figlio! Il dato reale, invece, è 3% (preoccupante, ma non drammatico).
Vediamo ora gli omicidi. Il 49% della popolazione nei Paesi presi in esame crede siano in crescita, il 27% pensa siano in calo. La verità è che gli omicidi sono in calo ovunque. Ma se gli elettori pensano il contrario, c’è da star sicuri che qualcuno farà leva su questi timori pianificando un programma politico.

Le responsabilità non sono solo dei cittadini ma anche dei media: se informiamo in modo distorto o, peggio ancora, non diamo certe informazioni, la gente corre il pericolo di credere alla prima sciocchezza che passa. Ma sarebbe sbagliato attribuire la colpa soltanto, o in gran parte, ai media. Spesso si è in presenza di quella che gli psicologi definiscono «ignoranza razionale»: si sceglie di non voler sapere. Basti pensare ad alcuni quotidiani o a certi commentatori. Chi li legge/li ascolta/li guarda non desidera ricevere informazioni: esige soltanto di avere conferma dei propri pregiudizi.
I pregiudizi, infatti, confortano perchè scacciano il fastidio del dubbio. Le idee confuse consolano: consentono di lamentarsi senza protestare, di commiserarsi senza impegno. «Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno», cantava Francesco Guccini. Ma in quella canzone, Incontro , si narra di amanti sensibili e rassegnati, non di cittadini emotivi e disinformati. La fine di una coppia, non il declino di una nazione.

media-press-graphic

Gli italiani non spiccano solo per ignoranza ma adesso anche per pessimismo. Sembra infatti venir meno quella che era l’ultima caratteristica certa: nonostante tutto eravamo un popolo resistente e tenace, in grado di fronteggiare gli ostacoli sul nostro cammino! La paura è che non sia più così e che forse stiamo smarrendo anche il nostro proverbiale ottimismo. E’ quanto emerge da un altro rapporto che non ci dà buone notizie. Si tratta del rapporto Prosperity Index 2014, pubblicato nei giorni scorsi dal Legatum Institute, che ogni anno confronta 142 Paesi. Nell’indice di prosperità siamo finiti al 37° posto, scendendo di cinque posizioni rispetto al 2013. L’Italia fa segnare i picchi negativi alle domande «L’economia andrà meglio?» e «È un buon momento per trovare lavoro?»: siamo 134° su 142 Paesi. Risultiamo più pessimisti degli abitanti di Spagna (132°), Francia (120°) e Ucraina (107°). Andando oltre i confini dell’Europa, più di peruviani (36°) e thailandesi (quarti!). Le grandi masse cinesi e indiane (rispettivamente 54° e 67°) sono più ottimiste di noi.

sondaggio freccia

Dobbiamo esser sorpresi? Non così tanto. L’ottimismo delle nazioni non è connesso ai numeri, ma alle prospettive. Non ai fatti, ma alle percezioni e alle aspettative. Gli umani sono sognatori e quantificano la felicità in base al progresso. Si potrebbe definire un grande sabato del villaggio globale: e in Italia stiamo smarrendo il sapore del dopo. Kazaki (30°) e uruguayani (43°) non stanno meglio di noi; ma credono fortemente che oggi sia meglio di ieri e domani sarà meglio di oggi. Queste cose pesano, nella vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni.

Bisogna riconoscere che il nostro realismo si è trasformato in cinismo, e il cinismo ci sta portando al pessimismo. I molteplici, pessimi esempi pubblici – 5,7 miliardi l’anno il costo della corruzione, stimano Guardia di Finanza e Corte dei Conti – contribuiscono a questo stato d’animo non certo positivo. I Paesi che hanno una libertà di informazione analoga alla nostra non sono afflitti la nostra corruzione; e i Paesi che hanno la nostra corruzione non possiedono la nostra libertà di informazione. Una consapevolezza sconfortante, quella italiana.

L’economia e l’occupazione hanno inevitabilmente conseguenze sull’umore collettivo; e l’umore collettivo diventa narrativa nazionale. Oltre alla già citata America, quali Paesi riescono in questo periodo a pensare a se stessi come protagonisti di una storia che continua? Cina e India, in competizione tra loro e col resto del mondo, possiedono una visione epica di questo momento storico. In Europa è una calma consapevolezza che accomuna diversi Paesi. Addirittura la Russia ha un’idea di se stessa dal momento che Putin, in cerca di consenso, ha rispolverato i miti sovietici e, purtroppo, molti connazionali gli hanno creduto.

L’Italia è riuscita a raccontarsi negli anni Sessanta, quando l’economia andava bene e le famiglie potevano sognare (sì, anche grazie a un’automobile o a un elettrodomestico). A metà degli anni Ottanta, quando ha notato il sorpasso dell’Inghilterra. Nei primi anni Novanta, quando ha tentato di combattere la corruzione e durante gli anni Duemila, quando la maggioranza ha abboccato alla favola del «contratto con gli italiani» di Silvio Berlusconi. Tre illusioni e altrettante delusioni, a cui sono seguiti questi anni di crisi economica.

il-contratto-con-gli-italiani

La triste conclusione è che fatichiamo a fatica a sognare ancora e non è affatto una buona notizia perchè come dice un grande cantautore, Luciano Ligabue, “sono sempre i sogni a dare forma al mondo e sogna chi ti dice che non è così e sogna chi non crede che sia tutto qui”.