È il giorno che ogni tifoso della Juventus aspetta da una vita. Da 12 anni, almeno. Da quella finale di Champions League, l’ultima giocata dal club bianconero, persa contro il Milan di Carlo Ancelotti ai calci di rigore. Da quando Sheva spiazzò Buffon e mandò il diavolo in paradiso. 12 anni. Tanti, tantissimi per chi ha fame di vittorie e per chi ha sempre vissuto la Champions League, o Coppa dei Campioni che dir si voglia, come una sorta di maledizione. Come l’innamorato che soffre per la donna più bella che ammicca e sul più bello si rifiuta. La Juve ha dovuto rinunciarvi spesso sul più bello. La prima finale arrivò nel 1973, quando Inter e Milan ne avevano già vinta una. Ma per la Juve era ancora presto. Vinse l’Ajax, 1-0.

Con lo stesso risultato qualche anno più tardi la Juventus perse ad Atene contro l’Amburgo. Era la squadra di Trapattoni ed era largamente favorita. Una sorta di “Caporetto” sportiva, un dramma calcistico. Magath trovò la rete del vantaggio tedesco dopo appena 9 minuti e così finì. Poi ci fu l’Heysel. La vittoria più triste, più brutta. La coppa sporca del sangue di 39 tifosi che erano andati a Bruxelles per vedere la partita. Oggi l’Heysel ha cambiato nome, sorge ancora in un quartiere silenzioso ed è ricordato solo da una targa affissa all’esterno dello stadio. Quasi spettrale. Da non credere che lì un giorno di 30 anni fa persero la vita 39 persone. L’Heysel è quel posto nel quale la vittoria di una Champions conta zero.

Poi ci fu la finale di Roma. La più bella per la Juve e per i suoi tifosi, che festeggiarono in casa propria – o quasi – il trofeo più importante. Era la prima finale dopo il massacro della Curva Z, era il sogno senza dimenticare mai l’incubo vissuto 11 anni prima. Il gol di Ravanelli, poi i rigori, Jugovic che realizza e la festa che può partire. L’ultima Champions, e sono già passati 19 anni. Lippi nel frattempo si è ritirato, gli artefici di quel successo anche. E la Juve sono venti anni che cerca di rivivere un’emozione del genere. Quella di Roma fu la prima (ed unica vinta) di tre finali consecutive. Nel ’97 ancora in Germania la Juve perse contro il Borussia Dortmund, e nel ad Amsterdam si impose il Real Madrid. Due finali sfortunate. La prima persa contro una squadra sicuramente inferiore, infarcita di ex calciatori che nel calcio italiano non avevano brillato. La seconda per una rete in netto fuorigioco di Mihaijtovic, forse nell’ultima stagione nella quale Juventus e Real Madrid si siano incontrate con i bianconeri favoriti per una maggiore qualità in campo. L’ultima finale la Juventus l’ha giocata a Manchester. Chi c’è stato ricorderà i palloncini in alto nello stadio, appesi sul soffitto. E una grande scritta: “Il teatro dei sogni”. Per la Juve quello fu il teatro degli incubi. Passò il Milan ai rigori.

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12 anni. Dodici. Nel frattempo ne sono successe di cose. Dallo squadrone di Capello incapace di affermarsi in campo europeo alla Serie B. Una retrocessione avvenuta in tribunale, e due scudetti ritirati. La Juventus costretta a ripartire da zero. Poi il ritorno in A, il titolo da capocannoniere di Del Piero, i mercati fallimentari, i numerosi cambi di allenatori, poi Conte, tre scudetti consecutivi, il quarto di finale di Champions contro il Bayern Monaco e la sconfitta netta. E poi Allegri, e questa squadra. All’apparenza meno bella, nella pratica ancora più forte. Un cammino iniziato come al solito con mille paure e tanti limiti mentali. La rimonta ai gironi contro l’Olympiakos ha cambiato la stagione. Poi il doppio confronto con il Borussia Dortmund e la larga vittoria in trasferta; l’urna benevola che ha opposto ai bianconeri il Monaco, battuto all’andata di misura, con intelligenza e opportunismo. E il Real Madrid. Il momento nel quale devi scontrarti contro Cristiano Ronaldo. Ieri a Berlino un tifoso aveva una maglietta con su scritto: “Che ce frega di Ronaldo, noi c’avemo Padoin”. Si capisce da qui com’è finita.

E ora il Barcellona. I marziani tornati marziani. Il ciclo agli sgoccioli, e forse al culmine. Quella squadra che fa paura solo a sentirne i nomi. Quella paura che la Juve non può e non deve avere. C’è da conquistare una coppa, da regalare ai tifosi una notte magica. E da sfatare una maledizione.