C’è un motto che i tifosi juventini hanno usato spesso negli anni, e che i giocatori bianconeri hanno deciso di far scrivere sul colletto delle loro maglie, che recita: “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Parole pronunciate da una bandiera storica dei bianconeri, niente di meno che Giampiero Boniperti. Normale per chi rappresenta la squadra più vincente di sempre in Italia pensarla così. Sabato sera però la Juventus ha imparato anche un’altra cosa, e cioè che vincere è importante, ma non è l’unica cosa che conta. Le parole sono le stesse, il significato è contrario, e dentro c’è un pizzico di umiltà in più. Basta spostare quel “non” per spiegare questa finale di Champions, amara, ma forse non troppo per i bianconeri. È finita 1-3 per il Barcellona di Luis Enrique a Berlino, nello stesso stadio, l’Olympiastadion, che quasi 9 anni fa aveva incoronato l’Italia e visto Fabio Cannavaro alzare la Coppa del Mondo al cielo. Questa volta invece, premia la Spagna, quella più indipendentista, quella della regione catalana, capace di portare a casa 4 Champions League negli ultimi 10 anni. Buffon, Barzagli, Pirlo, i reduci di Berlino 2006, questa volta non ce l’hanno fatta a sventolare il tricolore nello stesso stadio, ma chissà quante emozioni avranno vissuto nel tornare a calcare nuovamente il prato verde che li rese immortali.

È andata così, come doveva andare contro una squadra di marziani. Questa volta la Juventus esce di scena sul più bello, questa volta la passerella i giocatori con la maglia bianconera l’hanno percorsa per primi, questa volta hanno fatto qualcosa che non sono abituati a fare. Sesta finale tra Champions League e Coppa Campioni persa, è record negativo in Europa. Tornano a Torino con una medaglia d’argento, una medaglia che però oggi ha un sapore diverso, questa medaglia va mostrata fieramente. Perché alzi la mano chi avrebbe mai scommesso un euro sulla Juventus in finale. Alzi la mano chi ad inizio stagione si aspettava un Allegri così. Lo scorso anno la maledizione Champions sembrava non voler lasciare i bianconeri, che si erano dovuti arrendere addirittura ai gironi, sconfitti in un campo indecente dal Galatasaray. Allegri invece, è stato bravo a rompere quella maledizione, a superare quel tabù. Certo, questa volta la dea bendata ha baciato più volte la Juventus, soprattutto nei sorteggi, ma se si vuole vincere, serve anche un pizzico di fortuna. La stessa fortuna che ha avuto il Barcellona nel trovare il goal in contropiede, nel momento più difficile della partita, in cui sembrava che la Juve potesse portarla davvero a casa.

Ma le emozioni di questo viaggio, valgono più della vittoria finale. Un cammino iniziato a Malmö, passando per Atene, e poi nella Madrid più povera, quella dei Colchoneros. E ancora la Germania, a Dortmund, tanto per iniziare a respirare quell’aria di finale, poi la Francia, il principato di Monaco che incensa definitivamente i bianconeri seppur con qualche difficoltà, prima di tornare a Madrid, questa volta però quella campione d’Europa e del Mondo. In un viaggio così probabilmente non ci sperava nessuno. La Juventus era lì, a Berlino, a rappresentare l’Italia, e poco importa se Buffon non ha potuto alzarla al cielo, perché un viaggio così vale la pena viverlo fino in fondo, anche se poi si conclude con una sconfitta. Uno dei cori più famosi dei bianconeri recita: “fino alla fine”, e la Juventus fino alla fine ci è arrivata. E mezza Italia ha tifato Juventus. L’altra metà invece, ha tifato Barcellona, a causa delle rivalità calcistiche che la Juventus si porta dietro da sempre. Ma forse è anche normale così, perché fin da bambino quello che vince sempre, di solito è il più antipatico, il più arrogante ma anche il più sicuro di sé, ma se si vuole arrivare in fondo, anche questo serve e non poco.

La Juventus lo ha capito quest’anno. Al ritorno della squadra i tifosi bianconeri sono giunti in massa per consolare e per ringraziare i loro ragazzi. Perché lo avevano detto fin dall’inizio. “Comunque andrà, sarà stato un sogno”, e un sogno è stato, perché la Juventus è rimasta in partita fino al 95esimo, spaventando nel corso della gara anche quel terzetto delle meraviglie composto da Neymar, Suarez e Messi. E allora basta rivalità, basta antipatie, e facciamo un applauso a questa Juventus, che è stata capace di riportare l’Italia dove merita, nei piani alti dell’Europa, e che ha capito che vincere è importante, ma non sempre è l’unica cosa che conta. In fondo in quello stadio ci siamo abbracciati tutti, senza differenze di età, status sociale e fede calcistica.

[Credits Cover: sport.sky.it]