Avranno passato l’ultimo biennio a dirvi che se c’è un mondo che non conosce crisi – e che invece sembra in continua, prepotente espansione – è quello delle serie tv. Ne avreste dunque anche le scatole piene dei soliti entusiastici elogi e del continuo svisceramento di quei prodotti seriali che hanno reso il piccolo schermo il fratello maggiore del grande. Abbiate però pazienza e concedeteci un’ultima sviolinata. Perchè ne vale la pena. Perchè The Knick, l’ultima zampata di quel talento intermittente di Steven Soderbergh, è l’ennesima serie americana da urlo.
Presentata integralmente allo scorso Festival Internazionale di Roma e presa al volo da Sky Atlantic, The Knick è ambientata nella New York del 1900, in un’epoca febbrilmente invasa dal progresso e da diavolerie mediche e scientifiche di ogni sorta. Il palco è rappresentato dal Knickerbocker Hospital, luogo in cui Soderbergh ci catapulta in medias res, aprendo la serie da lui diretta e prodotta (ma ideata da Jack Amiel e Michael Begler) con un suicidio shock, quello del primario della struttura, il Professor J.M. Christiansen. Un evento che conferisce il ruolo di leader del Knick al dottor John Thackery – un Clive Owen tenebroso e convincente come ai tempi di Inside Man – personaggio che prende spunto dal geniale e anticonformista chirurgo William Stewart Halsted (che verrà inserito nella vicenda, in un fugace cameo).
L’hanno definita come Nonno di Dr. House: in realtà, The Knick e il presunto pronipote hanno in comune la sola appartenenza allo stesso genere, il medical drama. Un’etichetta comunque riduttiva per un prodotto che, sin da subito, mostra i muscoli del proprio apparato tecnico: impressionante infatti la messa in scena affidata alla Anonymous Content e curata nei minimi particolari da Soderbergh, che si occupa, come di consueto, anche della (notevole) fotografia. Siamo decisamente all’interno di un mondo ancora bestiale, violentemente religioso – in cui la vita è un bene fragile – eppure irresistibilmente in divenire, in cui gli ettolitri di sangue che imbrattano le candide vesti di medici e infermiere si mischiano alle cieche passioni umane e agli intrighi e alla corruzione della classe dominante.
Nel lunapark gore e passionale di Soderbergh, impreziosito da scenografie e costumi da urlo, c’è un calderone di tematiche. I neri sono ancora negri, costretti a fare i conti con una schiavitù abolita ancora solo formalmente: a rappresentare il vessillo del black power, contro i soprusi più che tollerati dalla legge da parte dei bianchi newyorkesi, è il dottor Algernon Edwards, medico di colore che riuscirà a imporsi all’interno della comunità – inizialmente diffidente – del Knick. La prospettiva storica non si ferma però al razzismo e all’apartheid: è ferma intenzione dell’opera quella di inserirsi in un contesto in cui morire per una gravidanza con placenta previa o ammalarsi di tifo, sifilide o lebbra, è roba all’ordine del giorno. E lo spettatore, a fianco degli uomini di scienza, scopre pian piano il sipario del progresso scientifico, coi raggi X, l’ecografia e l’avvento dell’elettricità.
Coordinato da un Soderbergh in formissima, che si diverte anche a plasmare, insieme a Cliff Martinez, una riuscitissima soundtrack piena di bassi, c’è un cast sorprendente: detto dell’ottimo Owen, un Thackery geniale, cocainomane e carismatico, il comparto attoriale della serie si rivela un efficace e ben assortito mix di giovani interpreti e volti segnati dall’età. A spiccare sono Andre Holland (Algernon Edwards) e soprattutto Eva Hewson: una bellezza irlandese pudica e al tempo stesso sensuale, in grado di conferire al proprio personaggio, l’infermiera Lucy Elkins, una visibile dialettica interiore tra l’educazione religiosa e l’accecante passione per il dr. Thackery. Già vista nel This must be the place di Sorrentino, la 23enne Hewson è un nome su cui scommettere sicuri per il futuro.
Così come The Knick, alla fine della fiera, è l’ennesima scommessa vinta da Sky Atlantic.
[Ph. Credits: Cinemax]