Non aver alzato al cielo mai un trofeo, è un fardello troppo pesante da portarsi dietro ancora per molto. Un tabù e una maledizione durata fin troppo che doveva essere interrotta il prima possibile. Quale occasione migliore del torneo più importante d’America, nell’edizione casalinga? La “Roja” quest’anno non poteva sbagliare. Dalla prima edizione della Copa America svoltasi in Argentina nel 1916, è passato quasi un secolo. Il Cile per quattro volte ci è andato veramente vicino, ma l’aveva solamente sfiorata, senza mai poterla alzare al cielo. Non sono bastati 90 minuti, nemmeno 120, il merito di decidere il vincitore, è stato ancora una volta affidato al capriccio degli dei del pallone, che però stavolta, hanno voluto scrivere una favola diversa, invertendo i protagonisti, prendendo spunto dalla storia di Davide contro Golia. Ha vinto la voglia di fare la storia, il Cile può finalmente scrivere il suo nome tra le sacrali righe dell’Albo d’Oro della competizione, ed è festa. L’Argentina di Messi, Higuain, Lavezzi, Di Maria, poteva crollare solo così.

Gli errori di Higuain, l’ennesimo in questa stagione, e di Banega dagli undici metri, consegnano a Sanchez le chiavi per entrare di diritto nella storia, e il talento dell’Arsenal ex Udinese non se lo fa dire due volte. Il cucchiaio non è perfetto, forse gli han tremato un po’ le gambe, ma cosa importa, Romero va a destra, il pallone è centrale. L’Argentina esce di scena sul più bello ancora una volta, dopo aver perso il Mondiale lo scorso anno, in finale contro la Germania, nella terra degli storici rivali brasiliani. È stata battaglia vera fino all’ultimo metro, e non poteva essere altro che così visto che davanti c’erano due nazioni, che hanno da sempre interpretato in modo opposto il calcio, e non solo. Di mezzo c’era la storia, quella calcistica, ma anche quella politica. Ragioni storico-sociali che ancora oggi sono cicatrici aperte. L’intervento di Pinochet nella guerra per le Isole Falkland, combattuta tra Argentina e Inghilterra nel 1982, è cosa nota, e la scorsa notte a Santiago de Chile, è arrivato un altro schiaffo per gli argentini, per una generazione di fenomeni che non vince ormai nulla da circa 22 anni.

Ma facciamo un passo indietro, le ragioni della vittoria cilena, sono tutte racchiuse leggendo i giocatori che compongono questa squadra. Jorge Sampaoli, proprio lui, argentino contro la sua Argentina, per dargli uno dei dolori più grandi. Il ct del Cile è riuscito a creare un gruppo formidabile, lo ha plasmato negli anni, lo ha portato dal 2012 ad oggi ad una crescita continua. Negli occhi abbiamo ancora quella splendida partita di un anno fa, contro la Spagna campione del Mondo al Mondiale brasiliano. Solo una traversa di Pinilla, e proprio i rigori, fermarono il cammino di quel Cile, contro i padroni di casa del Brasile. Ad un centimetro dalla gloria, ma questa volta no. Un mix di giovani ed esperti, con tanti “italiani” e vecchie conoscenze del nostro calcio. Isla, Medel, Vidal, Fernandez, Pizarro, Pinilla, Sanchez, Edu Vargas, un pezzo di Italia c’era anche lì, a Santiago del Cile.

Un gruppo compatto, capace di soffrire ma anche di resistere nei momenti di difficoltà. E stavolta probabilmente un pizzico di forza in più, quello decisivo, gliel’hanno dato i los trenta y tres, i 33 famosi minatori cileni (uno in realtà boliviano), che nel 2010 furono protagonisti dell’incidente nella miniera di San José a Copiapò, che aveva sconvolto il mondo, e che la scorsa notte erano presenti allo stadio. Il Cile ha dimostrato di essere una grande squadra, di essere pronta per potersi confrontare con realtà più grandi senza paura, e perché no, provare a diventare una protagonista mondiale a partire già dai prossimi anni.

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