Non solo post-it di Francesco Sole. Non solo selfie ammiccanti di Federico Clapis. Non solo shooting stilosi di Chiara Nasti. Non solo politica, bufale, idiozie, esibizioni di narcisismo dilagante e dimostrazioni di saccenza irritante. Facebook non ospita solo il superfluo. Facebook talvolta si sveste di artifici e diventa inconsapevole cantastorie di racconti delicati quanto imponenti, la cui magnitudo va ben oltre i confini di una pagina social; corrono veloci fuori dagli schermi illuminati degli smartphone soffermi nel leggerli per propagarsi tra la gente, lasciando qualcosa di bello in chi ha speso due minuti del suo tempo per lasciarsi contaminare dal loro valore.

Succede, quindi, che tra i post della timeline di Facebook scorgi il volto di una ragazza che si fa un selfie mentre sceglie una parrucca. Fino a qualche mese prima la vedevi sorridente abbracciata alle amiche in un sabato sera qualunque. Adesso lei sorride ancora, ironica e tenera davanti a lunghi capelli castani o ciocche dorate, ma lo fa per corazzarsi contro l’inaspettato: la malattia. Capisci che qualcosa non va e inizi a seguire i suoi aggiornamenti, rimanendo colpito dall’intensità della storia che lei, Silvia, si accinge a narrare. Silvia ha lottato contro il tumore. Linfoma di Hodgkin, un nome tanto difficile da pronunciare quanto brutto a sentirsi. Lei ha trentanni. Troppo pochi per lasciare che il suo sorriso si spegnesse sopraffatto dalla paura di fallire. Ed ecco che quel sorriso sarà per lei arma invincibile ed elegante contro un male impietoso – lo “stronzetto”, come lo ha battezzato lei – da archiviare in un epilogo felice che non possiamo non raccontare.
Abbiamo chiesto a Silvia di condividere la sua storia, dopo averne seguito i passi attraverso lo “storytelling” da lei condotto attraverso la sua pagina personale Facebook e la fanpage della sua linea di bijoux, Demodè-Lovely Things.

Silvia prima della malattia - Credits: Silvia Cannata Silvia prima della malattia – Credits: Silvia Cannata

Facciamo un salto indietro, al giorno in cui hai scoperto che qualcosa non andava. Come e quando è avvenuto?

Era un giorno come tanti. Stavo andando a lavoro e prima dovevo andare di corsa a fare analisi del sangue e rx torace perché era un po’ che non mi sentivo bene. Ho fatto quelle analisi convinta di non avere nulla. Di fretta. Poi il medico che ha eseguito la radiografia mi ha detto di aspettare perché volevano esitare il reperto subito. Ho aspettato e mi hanno dato una busta bianca contenente la mia radiografia. Una volta in macchina apro la busta e vedo quella radiografia che proprio non aveva nulla di normale. Lì ho capito che c’era qualcosa che non andava.

Il tuo primo pensiero qual è stato e chi è stata la prima persona che hai avvisato?

Il mio primo pensiero è stato “cavolo, qui si mette male”. Poi ho chiamato mia madre, che però già era preoccupata viste le mie condizioni di salute nei giorni passati. Immediatamente dopo, ho chiamato il mio compagno.

Come si svolgeva la tua vita fino a quel giorno e come è cambiata – se è cambiata – dopo la scoperta della malattia?

La mia vita era ed è la vita normalissima di una trentenne che lavora. Giornata in ufficio, lavoro lavoro lavoro, casa, fidanzato e Demodé (il mio brand di gioielli). Pizza e cinema ogni tanto. Un giretto al centro di Milano. Insomma, una vita tranquilla e serena. Dopo la scoperta della malattia cambia tutto. Più che altro perché affronti diversi mesi di cure e esami medici che lasciano poco tempo alla normalità. Le chemio vanno fatte in ospedale. Passi ore e ore su un letto d’ospedale. Day hospital, reparti, sale operatorie e reparto di oncologia. Poi ci sono i giorni in cui i tuoi valori sono talmente bassi che non puoi mettere il naso fuori di casa. Devi indossare una mascherina sterile e non puoi abbracciare né baciare nessuno. Punture. Tante punture. Farmaci. Tanti farmaci. Durante i mesi di cure è come se vivessi una vita parallela che ti mette in contatto con una parte di mondo che speravi di non incontrare mai.

La tua vita professionale ha subito ripercussioni?

Per fortuna no. Sono stata fortunata. L’azienda per cui lavoro mi è stata più che vicina. I miei capi mi sono venuti incontro in tutti questi mesi permettendomi di curarmi e pensare solo alla guarigione. Mi sono messa in malattia e ho potuto concentrare le mie energie solo sulla lotta che stavo affrontando. Ce ne fossero di aziende e persone così!

Da cosa è nata la tua idea di narrare il tuo percorso di lotta contro la malattia sui social?

È stata una decisione spontanea. Non ho pensato più di tanto. Quando mi hanno detto che avevo un Linfoma di Hodgkin ho pensato che, essendo un tumore che colpisce soprattutto i giovani dai 20 ai 30 anni, doveva essere raccontato con un codice linguistico adatto a loro. E andava fatto conoscere. Noi ragazzi viviamo praticamente incollati alle tastiere, alle bacheche dei social. E quindi quale posto migliore per testimoniare una battaglia come questa? Il social a volte ti permette di arrivare a tante persone senza sforzo alcuno. Volevo fare questo. Far conoscere la malattia ma soprattutto far conoscere un modo diverso di affrontarla. Dove non per forza si piange, non per forza ci si dispera. Si combatte, si ironizza e si va avanti.

Quanto pensi ti abbia aiutato affrontare la malattia con questa ironia e apertura per guarire?

Tantissimo. Credo che il sorriso e la forza d’animo siano medicinali potentissimi tanto quanto i chemioterapici. Sono sempre stata una persona ironica e autoironica e questo lato del mio carattere mi ha aiutata tantissimo in un percorso complicato come quello di un malato di tumore.

Il messaggio più bello che hai ricevuto dai social qual è stato?

Non saprei identificarne uno in particolare. Ho visto la vicinanza di persone che non vedevo né sentivo da anni. Questo è bellissimo. Ogni commento, ogni like, ogni messaggio è stato per me prezioso.

Non hai mai temuto il giudizio negativo della rete? Normalmente sui social si cerca di apparire e mostrare le proprie forze, non le proprie debolezze. Tu hai fatto il contrario. Mai temuto di non ricevere il consenso degli utenti?

Non ho mai pensato ad un possibile giudizio. Né negativo, né positivo. Non ho mai fatto qualcosa per ottenere “consenso” ma semplicemente per testimoniare un percorso difficile. Le debolezze sono ben più interessanti delle certezze, perché sono quanto di più reale e intimo ci possa essere in noi. La mia debolezza è invece diventata punto di forza quando ne ho parlato senza peli sulla lingua e senza tabù. E credo la gente abbia capito cosa volessi fare.

Credits: Silvia Cannata
Credits: Silvia Cannata
Pensi che i commenti di Facebook rispecchino i sentimenti genuini delle persone o talvolta si amplifichino le emozioni per esibizionismo? In altre parole, pensi che le persone che hanno commentato i tuoi post abbiano sempre sentito ciò che dicevano o talvolta abbiano preso parte a una discussione in rete per “esibizione” più che per “affezione”?

Credo che dietro ogni commento ci fosse un sentimento di condivisione e comprensione sincero. È ovvio che non siamo tutti migliori amici, non siamo tutti amici intimi. Ma non è questo l’importante. La cosa importante è che per una persona malata sentirsi anche per un secondo al centro dei pensieri positivi delle persone fa bene. Non credo ci fosse desiderio di esibizione. Il tema è tutt’altro che frivolo e chi cerca esibizione non penso lo faccia in questi ambiti.

Ci sono delle persone che vedendo te e il tuo modo di esorcizzare il male hanno preso coraggio? Hai fatto, insomma, anche del bene a qualcuno meno “coraggioso” di te?

Ci sono e sono tante! Quando la mia storia è diventata pubblica ho ricevuto decine e decine di messaggi e mail di persone malate o dei loro parenti. Tutti mi hanno scritto parole bellissime e mi hanno dato conferma che parlare di queste cose, in chiave ironica e non pietosa, aiuta! All’inizio del mio racconto volevo proprio comunicare il coraggio, la forza di spirito. E credo di esserci riuscita. Questo mi rende felice.

Oggi come stai?

Oggi sto bene. Il linfoma (detto stronzetto) non c’è piu. Ho fatto l’ultima chemio esattamente il 31 Dicembre, chiudendo un 2014 che non dimenticherò mai. Ora mi sto riprendendo proprio dall’ultima chemio e mi aspettano un po’ di controlli finali. Poi inizia la ripresa.

A chi vuoi dire Grazie?

La lista è davvero lunga. Prima di tutto voglio ringraziare la mia famiglia. Mia madre, mio padre, mio fratello e il mio insostituibile compagno. Mi sono stati accanto senza mai lasciarmi un secondo. Hanno riso alle mie battute sceme, hanno pianto con me, mi hanno sostenuta quando non riuscivo ad alzarmi da sola. Mi hanno spronata e incoraggiata nel periodo più complicato della mia vita.
Poi voglio ringraziare chi mi ha curata. Il dott. Bregni e la dott. Appio dell’ospedale di Busto Arsizio che dal primo secondo mi hanno aiutata, curata e sostenuta con la loro professionalità e umanità. Un grazie speciale va poi a tutte le infermiere del Day Hospital del reparto oncologico di Busto Arsizio. Sono angeli. Davvero.
Ultime ma non ultime, le mie amiche e le mie colleghe. Ho avuto la fortuna di avere accanto persone stupende alle quali voglio e vorrò sempre un bene infinito.

Ah, dimenticavo. Dico grazie a me stessa. Per non aver mai ceduto alla paura. Per aver lottato e per non aver mai perso il sorriso. :-)

Ed è con quell’emoticon sorridente che chiude l’ultima dichiarazione di Silvia che la salutiamo, con quel sorriso che è stato per lei cura contro la malattia, antidoto contro il senso di sconfitta. Con Silvia ha vinto la voglia di vivere.

Grazie a Silvia da Il Giornale Digitale