Maurizio Landini sembra non nascondersi più e si presenta da candidato ideale per ricoprire il ruolo di leader di una Sinistra che cerca disperatamente di ricostruire i propri cocci in seguito a tanti e sofferti tentativi malriusciti, dalla grande scommessa (persa) di Ingroia al tentativo di spendere il nome di Tsipras per legarsi alla scia di successo del leader greco e della sua “Syriza”.
Ma sembra difficile, se non impossibile, riuscire adesso a scardinare meccanismi elettorali e a far dimenticare insuccessi e delusioni che la Sinistra ha accumulato forse più per una grave crisi identitaria che per l’assenza di una leadership.
Landini, il sindacalista “moderato” dalla Fiom alla politica
La storia di Maurizio Landini è indissolubilmente legata al Sindacato e a quel ruolo di Segretario Nazionale della Fiom che ormai ricopre dal 2010; molto impegnato nelle difficili vicende “Thyssenkrupp” e “Ilva”, e strenuo oppositore della strategia aziendale di Marchionne in Fiat, è stato invocato da più parti per ricoprire il ruolo di leader della Sinistra radicale schiacciata da risultati elettorali deludenti e orfana di un leader carismatico in grado di competere con l’ascesa di Renzi. Considerato moderato ed equilibrato nei toni nonostante le polemiche talvolta molto accese che lo hanno coinvolto durante le aspre lotte sindacali, era addirittura tra i favoriti a ricoprire il ruolo di Ministro del Lavoro per l’attuale Governo. Smentite più volte le voci che lo volevano in procinto di fondare il proprio Partito, costituisce “Coalizione Sociale”, un movimento che segna secondo i cronisti politici la scelta di dedicarsi attivamente alla politica nonostante pubblicamente continui a dichiarare di non voler lasciare il Sindacato.
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Le critiche della Camusso
La “Coalizione Sociale” di Landini però non è piaciuta alla Camusso; la Segretaria della Cgil, non ha nascosto di temere che possa rappresentare un elemento discordante con la matrice sindacalista e difficilmente accordabile con le necessità dei lavoratori dal momento in cui diventasse Partito; ha rinnovato perciò l’invito al “collega” di sgombrare il terreno dal dubbio che si stia preparando a lasciare il Sindacato per seguire con la politica un destino personale che non farebbe bene a quei lavoratori che ha sempre difeso. Di fatto se i presupposti fossero quelli di un’ascesa non appoggiata se non addirittura ostacolata da quell’area, ci si domanderebbe se Landini potrebbe davvero fare la differenza rispetto i suoi predecessori.
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La crisi identitaria
E se il problema della Sinistra non fosse quello di cercare un leader in grado di competere con Matteo Renzi, quanto invece quello di riuscire a compattarsi attorno ad un programma definito che possa ridare le linee guida di un’ideologia spesso confusa e calpestata? Landini rischierebbe di bruciare ciò di buono che ha fatto con le lotte sindacali per inseguire quel ruolo che forse assumerebbe più per senso di responsabilità che per la reale convinzione di dover scendere in politica. Il passo avanti per uscire dalla crisi non spetta tanto a lui, quanto proprio alla Sinistra stessa che deve definitivamente decidere se incorrere nell’ennesimo errore di affidare speranze e sogni ad una singola persona per coprire difficoltà strutturali e ideologiche, o imparare davvero dagli errori e con fatica rialzarsi e tornare ad avere un ruolo, forse mai fondamentale quanto adesso per la politica.
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