Avrei voluto parlare anche oggi di calcio, come sono solito fare ogni lunedì. Avrei voluto parlare della splendida rimonta del Cesena a Verona, o della settima gemma consecutiva della Lazio contro il Cagliari, della reazione d’orgoglio del Milan a Palermo, o di un Parma che il campionato lo sta tutt’altro che falsando, come invece si sentiva dire qualche settimana fa. E invece no, mi ritrovo qui a scrivere di cose che poco hanno a che fare con il calcio e con lo sport in generale. Mi ritrovo “obbligato” a dover parlare di quello che è successo sugli spalti dell’Olimpico, mentre Roma e Napoli si affrontavano sul campo a viso aperto. Uso la parola “obbligato”, non perché qualcuno mi abbia ordinato di farlo, ma per il semplice motivo che fatti del genere non possono e non devono passare inosservati.

Ma facciamo un passo indietro. Sabato si è disputata Roma-Napoli, una partita ad alta tensione da quando il 25 ottobre del 1987, il gemellaggio tra le due tifoserie, simbolo di lotta contro il predominio del Nord, viene rotto bruscamente. Da quel giorno tra partenopei e romani fu solo odio, sfociato poi nell’uccisione del tifoso napoletano Ciro Esposito lo scorso Maggio, prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, da parte di Daniele De Santis, un ultrà giallorosso. Attimi di follia, come follia è il gesto deprecabile della curva sud giallorossa. Nel corso del match infatti, sono apparsi due striscioni di 30 metri, fatti esporre senza che nessuno intervenisse o prendesse provvedimenti, che recitavano: “Che cosa triste, lucri sul funerale con libri e interviste”, “C’è chi piange un figlio con dolore e moralità e chi ne fa un business senza dignità. Signora De Falchi onore a te”. E poi ancora: “Dopo il libro…il film” e “Daniele è con Noi”.

roma-napoli-striscioni-ciro-esposito

Il riferimento è chiaro e rivolto alla madre di Ciro Esposito, Antonella Leardi. Una persona mite ma al tempo stesso coraggiosa, che dopo la morte del figlio non ha voluto vendetta, anzi; Antonella ha capovolto quell’odioso “luogo comune”, predicando sempre un clima distensivo, e che non venga combattuta una guerra per la morte di suo figlio, che lo sport non si faccia più contaminare dalla violenza, perché quest’ultima non porta mai niente di buono. E con lo stesso coraggio, con la stessa forza, con il dolore nel cuore ma senza perdere lucidità, ha voluto rispondere agli striscioni della Curva Sud così: “Non tutti hanno la stessa testa e principi. Pregherò per loro, affinché Dio possa cambiare i loro cuori. Continuerò la mia lotta al di là di quello che possono dire”.

Una lezione in tutti i sensi, una lezione a chi si riempe la bocca professandosi Ultras, ma si dimentica di un “codice non scritto” che non tollera in nessun modo determinati comportamenti. Dei vigliacchi, perché chi ha permesso che questo accadesse, sono le stesse persone che da quasi 40 anni continuano ancora ad offendere la memoria di Vincenzo Paparelli, altra vittima della follia ultras. E allora ci sono poche altre parole per poterne dare una definizione. Ma torniamo ai fatti, alle parole dell’avvocato difensore della famiglia Esposito, Angelo Pisani che ha dichiarato: “Si dimetta la commissione che deve autorizzare gli striscioni per evitare messaggi pericolosi, di violenza, odio e razzismo, le autorità non siano complici del male. Tocca, una volta per tutte, alle istituzioni ed autorità competenti di intervenire seriamente e squalificare lo stadio Olimpico punendo uno ad uno i responsabili di vergognosi e subdoli messaggi disumani e odiosi”.

Proprio così, perché a questo punto la domanda sorge spontanea. Come è possibile che sia stata autorizzata l’entrata allo stadio di striscioni così subdoli? Chi era in servizio ai varchi d’accesso della Curva Sud? Insomma tante domande a cui qualcuno dovrà dare risposta, Tavecchio o chi per lui che sia. E allora chiudiamo qui, sperando che chi ha compiuto questi gesti, possa mettersi una mano sulla coscienza e pensare. E il nostro ultimo pensiero va ancora a lei, ad Antonella, nella speranza che le sue parole e le sue preghiere non rimangano vane, e poi anche a Ciro, che vive ancora nel cuore di una madre che meriterebbe solo applausi e non striscioni offensivi.

Credits Cover: www.Repubblica.it