“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Nell’articolo 1 della nostra Costituzione, i padri costituenti avrebbero fatto bene ad aggiungerci “gratis”. Sì, lavorare gratis. Perché a tanti potrà sembrare assurdo che ci sia qualcuno disposto a farlo, ma è così. Con i dovuti distinguo, chiaro. È ciò che accade ogni giorno sotto i nostri occhi in quello che chiamano il “paese reale”. Un paese, l’Italia, che non garantisce a chi va a lavorare un dignitoso stipendio finalizzato al consumo, una realtà che nega il giusto compenso in qualità di indennizzo del proprio tempo sottratto ad altre attività.

Giovane, in media sotto i trenta anni, laureato, proveniente da famiglia benestante o che può permettersi qualche sacrificio, disposto a muoversi, dinamico e automunito. Questo il profilo di chi oggigiorno offre il proprio lavoro gratis. Perché ad offrire lavoro è sempre il lavoratore non il “padrone”, così almeno recita il Capitalismo. Nei tempi moderni diremmo più semplicemente chi cerca lavoro. Gratis per l’appunto, senza ricevere non solo un adeguato compenso per le proprie competente ma proprio nessun compenso. Un’usanza tutta italiana, che non nobilita l’uomo né tantomeno il lavoro. Altrove, accordare un prezzo per una consulenza, un servizio, una porzione del tempo altrui è un modo per dare dignità al lavoro, un modo di mostrare rispetto verso quell’attività che rende liberi ed eleva l’animo di qualsiasi persona, la rende indipendente sotto tutti i punti di vista. Rispetto del lavoro che viene palesato, appunto, con la moneta. La prassi di pagare per ottenere qualcosa in cambio è la normale esecuzione del concetto di compravendita: si richiede, si paga e si ottiene. Un processo che ai più potrà sembrare fluido, sensato e, di conseguenza, logico. Eppure in Italia, nella nostra bella penisola baciata dal sole e le cui bellezze suscitano l’invidia di tutto il mondo, quella che sembra una consuetudine diventa un optional, in qualche caso addirittura un atto di benevolenza.

I motivi per cui si cerca di giustificare questa prassi 100% made in Italy si possono facilmente individuare nelle frasi che vengono lanciate come coriandoli, e proprio come coriandoli vengono portate via alla prima folata di vento. “Lavorare gratis è un’opportunità, hai il privilegio di poter fare un’esperienza.” Alzi la mano chi alla ricerca di un impiego non si sia sentito dire almeno una volta questa frase. Un mantra che stano cercando di inculcarci da almeno venti anni, dandogli il nome di stage, tirocinio, progetto, collaborazione, internship, training, o anche volontariato (vedi Expo). Cambia il nome ma non la sostanza: lavorare gratis. Prestare il proprio tempo gratuitamente rappresenta un’opportunità solo per il datore di lavoro, per l’imprenditore, per lo startupper, per lo squalo che sguazza nelle congiunture poco felici e che giova dalla perdita di competitività del nostro Paese o presunta tale. Un’immensa opportunità che si nasconde dietro l’affermazione “non abbiamo budget” per giustificare l’ingiustificabile. È anche vero che la possibilità di lavorare gratis può essere valutata, ma con la sicurezza che abbia delle condizioni ben precise, dei vantaggi tangibili e, soprattutto, una durata estremamente limitata.

Resta il fatto che lavorare gratis è per chi può permetterselo, per chi sotto i piedi ha una terra da calpestare dove poter infilare i propri passi l’uno dopo l’altro, consapevole che il prossimo non sarà nel buio. Una famiglia in grado di sorreggere questo “peso”, all’interno della quale ci sono uno/due componenti che hanno (almeno loro) un lavoro retribuito, un contesto che ha la possibilità di sacrificarsi per permetterci di lavorare gratis più tempo possibile con la speranza di realizzare prima o poi il sogno (se è vero che siamo così forti che potranno privarci di tutto meno che dei nostri sogni).

Il primo passo dal quale partire per contrastare questa consuetudine, per scardinare le frasi fatte e le giustificazioni preconfezionate è cominciare a pretendere di più. Pretendere di più da noi stessi, innanzitutto, non accontentarci della visibilità, delle promesse, dell’occasione imperdibile, del “tanto se non accetti tu c’è una fila di gente disposta a farlo”. Analizzare, valutare e spendere il proprio senso critico per le proposte di collaborazione che ci vengono propinate alla stregua di azioni caritatevoli, essendo pronti a giocarsi le proprie carte, a fare la propria controproposta, a non lasciarsi convincere che “ogni lasciata è persa”. Perché a lavorare gratis gli unici che ci perdono siamo noi.

[Cover source: film “I Vitelloni”]