Le dichiarazioni di Lotito hanno lasciato il segno, come spesso accade in occasione di intercettazioni. Non è semplice contestualizzare una telefonata ufficiale, figuriamoci una chiacchierata tra amici. Specie se i toni sono quelli di Lotito e l’amico in questione, Iodice DG dell’Ischia, decide di registrare la telefonata per tutelarsi. Lotito si sente il padrone del giocattolo calcio, e non manca di rimarcarlo in questi momenti. Sminuendo nell’ordine Macalli, Nicchi e Abodi vuol far capire una cosa sola: avete capito chi conta davvero?
Lotito è uno che ha le mani in pasta ovunque, ma non è il male assoluto del calcio. È semplicemente un dirigente figlio di un’Italia che si vanta di amici potenti e lobby importanti. I suoi numeri sono tutt’altro che negativi, peccato che alle volte confonda uno sport e una passione con un’esercizio aziendale. Nulla di male, per carità, ma il calcio nasce con altri scopi e con fini diversi da quelli meramente di lucro. Mal sopportato dai tifosi della Lazio, ha gestito le casse della squadra capitolina con grande capacità, risanando i debiti della tanto sciagurata quanto vincente gestione Cragnotti, e salvando di fatto la squadra dal fallimento. La sua gestione, tanto per usare un termine in voga in questi giorni, è stata provinciale. La Lazio ha stretto i denti e chiuso la borsa, ha ceduto, ha comprato a buon mercato, si è affidata ad un Direttore Sportivo molto attento ai fatti e poco alle chiacchiere, Tare.
Questo ad onor del vero. Per far capire che in Italia la provincia e (soprattutto) la provincialità sono concetti declinabili in diverse maniere. L’intercettazione tra Lotito e Iodice non lascia spazio alla fantasia e alle interpretazioni. Ma gran parte dell’attenzione generale si è soffermata sull’ultima parte della telefonata, forse perché è quella che riguarda più da vicino le nostre passioni, e non i giochi di potere. In fondo agli sportivi poco importa quanto contino Macalli e Abodi all’interno della Lega. Ma quando Lotito dice che “Un’eventuale promozione del Carpi in serie A sarebbe una tragedia per il calcio italiano” tocca tutti. Concetto più o meno simile viene espresso per il Frosinone, “reo” di essere quarto in classifica e con ottime possibilità di accedere ai play off. A Carpi non l’hanno presa per niente bene, a Frosinone meno che mai, a La Spezia (che sabato a giocato contro il Carpi) nemmeno. “Così si falsa il campionato” hanno detto i liguri.
E via con la spirale di provincialismo spinto. Varriale, nella sua trasmissione della domenica, domanda a Ventura e a Zola cosa ne pensano delle parole di Lotito. Come se Torino e Cagliari fossero anch’esse realtà di provincia. No signori, parliamo di due delle dieci città più importanti d’Italia. E ancora, l’esaltazione delle imprese del Cesena (passi) e del Parma, una delle squadre che ha vinto di più, in ambito internazionale, negli ultimi 20 anni. Ma da quando Parma è una provincia nel calcio? E da quando dobbiamo sorprenderci per un pareggio imposto dall’Empoli al Milan, a San Siro? In quale contesto sportivo abbiamo vissuto finora?
Se la prendono anche a Bologna, dove con Lotito hanno un conto in sospeso dai tempi di Calciopoli, e a Bari, dove il termine “squadra provinciale” andrebbe boicottato assieme alle parole Matarrese e calcioscommesse. Ma la verità è che in queste serie A siamo a stento provincia di qualcosa. Lo dimostriamo in ambito internazionale, quando andiamo a prendere scoppole ovunque, e quando ricominciano discorsi legati a turn-over assurdi in occasione delle partite di Europa League che dovremmo affrontare con il sangue agli occhi, animati dal desiderio di riprenderci quel palcoscenico internazionale che ci spetta. È provinciale il Milan di Inzaghi, è provinciale la Roma, sì questa Roma, quando discute ancora per presunti errori arbitrali di 6 mesi fa e intanto perde punti e accumula ritardo sulla Juventus, è provinciale De Laurentiis quando twitta questioni di centimetri.
Eppure quello che andrebbe colto, dell’uscita assai infelice di Lotito, è questo concetto: dove inizia e dove finisce la provincia, nel calcio italiano. Al di là dei provvedimenti che prenderà chi di dovere, nessuno deve mettere in discussione la sacralità del campo, la professionalità, la programmazione e il lavoro. Il Foggia di Zeman, l’Ascoli di Mazzone, Il Chievo di Del Neri e il Perugia di Serse Cosmi, fanno parte della storia del nostro calcio come ne farà parte il Sassuolo di Di Francesco e magari il Carpi di quel grande allenatore che è Castori. Quello che non deve passare in secondo piano è piuttosto l’ipotesi di rivedere la spartizione dei diritti TV in base al bacino di utenza e dalle presenza allo stadio, come avviene per esempio in NFL. Nel campionato di Football Americano i diritti TV vengono concessi a chi riempie gli stadi. Perché non c’è spettacolo televisivo se lo stadio è vuoto. È una regola semplice semplice: lo spettatore che sta a casa non vuole vedere solo le giocate dei campioni. Vuole sentirsi parte di uno spettacolo che va in scena allo stadio.
Ecco, se Lotito l’avesse detto così, anziché parlare come si fa al mercato o al bar con gli amici o peggio ancora utilizzando un registro da padrino di non si sa che cosa, allora la sua uscita sarebbe stata più utile per aprire un dibattito sull’attuale sistema premiante del calcio italiano. Altrimenti, a parte le belle favole di provincia, gli imprenditori più facoltosi continueranno ad investire in piccoli centri dove non ci sono spettatori, dove non c’è grande passione e per questo grande pressione, due parole che fanno rima, non solo per questioni di assonanza.
Continueremo ad assistere a promozioni (meritate, sia chiaro) di squadre con 1000 tifosi e con stadi mediamente vuoti. Non che questo non debba e non possa accadere, ma se accade una volta ogni 5 anni è un conto, se è invece accade tutti gli anni con una frequenza che fa riflettere, allora è il momento di capire cosa porti, al di là del tifo, gli imprenditori ad investire in provincia piuttosto che sobbarcarsi l’onere di riportare in Serie A una grande piazza. Il miracolo Chievo, per intenderci, sarebbe stato molto più bello, se in questi 20 anni la seconda squadra di Verona avesse acquisito un bel nucleo di tifosi da portare allo stadio. Passaggio che è mancato, unica colpa che mi sento di attribuire alla splendida realtà di Campedelli, che ha goduto di altre entrate: quelle televisive.
In conclusione non si lasci cadere nel vuoto questa provocazione (o questa gaffe se volete) di Lotito. Né si sottovaluti quella famosa richiesta di una Lega bloccata ispirata al modello NBA tanto invocata, da anni, da De Laurentiis. A fronte di dichiarazioni infelici i due non dicono una sciocchezza quando affermano che questo campionato è difficilmente vendibile all’estero. Non si tratta di eliminare la provincia, si tratta di ritornare a riempire gli stadi e tornare ad offrire agli spettatori stranieri (che pagano) il campionato più bello e difficile del mondo. Si tratta di tornare ad essere capitale del calcio che conta, e non più provincia. Sebbene non ci sia nulla di male nel vivere di pane e pallone. A Bari come a Carpi, a Bologna come a Frosinone.
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