Per quanto la cosa sia scoraggiante e dia un’amarezza profonda, bisogna ancora una volta tornare a parlare di discriminazione delle persone omosessuali sul posto di lavoro, un tema che non si vorrebbe né si dovrebbe più essere obbligati ad affrontare. Ma la cronaca di questi giorni non lascia scampo quindi ecco la storia “della settimana”. Ci troviamo a Trento, più precisamente all’Istituto Parificato del Sacro Cuore, istituto scolastico privato gestito dalle Suore. A fine anno scolastico una professoressa, che non avendo voluto dichiarare per ragioni di privacy il suo nome chiameremo Silvia, è stata convocata dalla dirigente della scuola, Suor Eugenia, che le ha domandato se fossero fondate le voci sul fatto che lei vivesse e avesse legami con un’altra donna. Silvia ha preferito non rispondere, logicamente per tutelare la riservatezza di ciò che faceva quando non era al lavoro, ma la sorpresa le è arrivata quando si è iniziato a parlare dell’anno successivo. Silvia infatti lavorava come insegnante precaria e, al momento di rinnovare il contratto per lei (e solo per lei) non è stato prolungato il rapporto di lavoro.

In tempo di crisi un taglio del genere al personale non avrebbe destato scalpore, ma il problema sorge quando si analizza l’organico dei docenti della scuola e si va a scoprire che i professori con lo stesso contratto di Silvia erano circa una ventina, e solo a lei non è stato rinnovato il contratto. A questo punto solo il Padre Eterno potrebbe pensare che si tratti di semplice casualità: la storia di una persona che lavora per cinque anni in una scuola e, dall’oggi al domani, viene licenziata non può non far sorgere dei dubbi. In un’intervista al quotidiano La Repubblica la docente ha poi dichiarato: “Dopo avermi fatto i complimenti per il lavoro svolto, se n’è uscita con quella domanda… Ero disgustata. Poiché non avevo intenzione di svelare nulla, suor Eugenia ha osservato che ‘stavo dimostrando la fondatezza delle voci’. Sembrava mi volesse umiliare. Stavo per andarmene e a quel punto lei prova rimediare, facendomi capire che era disposta a chiudere un occhio se avessi dimostrato di voler ‘risolvere il problema’. Non c’ho visto più…”

l’omosessualità è un problema? Ammesso che sia gay, dovrei guarire da qualcosa? Le ho risposto che è una razzista, e che deve riflettere sul concetto di omofobia” – Silvia

Quando i media hanno cominciato a dare rilievo all’accaduto, l’istituto ha precisato in una nota che i genitori si erano lamentati rispetto ad alcune allusioni all’omosessualità fatte in classe dalla docente, che non è rimasta zitta di fronte all’ennesima bugia, e ha subito risposto che né in classe, né coi colleghi ha mai parlato di omosessualità o di temi ad essa collegati poiché, come specificato dalla direttrice questi temi non rientrano nel progetto “educativo” della scuola. Nota su nota l’istituto ha passato tutta la settimana a perdere credibilità di fronte all’opinione pubblica: infatti se dapprima ha menzionato le lamentele dei genitori, ha subito ritrattato questa vesione attribuendo come causa dell’interruzione del rapporto di lavoro la mancanza di nuovi iscritti.

Una buffonata che non poteva passare inosservata al Ministero della Pubblica Istruzione, infatti il Ministro Stefania Giannini ha specificato che: “Il ministero valuterà il caso di Trento con la massima rapidità e se emergesse un episodio legato a una discriminazione di tipo sessuale agiremo con la dovuta severità”. La Giannini ha poi proseguito specificando che:
“Il ministero intende procedere a un confronto chiaro e doveroso con le parti coinvolte. In queste ore sto raccogliendo gli elementi utili a comprenderne tutti gli aspetti. Laddove ci trovassimo di fronte a un caso legato ad una discriminazione di tipo sessuale agiremo con la dovuta severità”. Ma la discriminazione delle persone omosessuali sul lavoro nel nostro paese è cosa evidente, anche se purtroppo se ne parla estremamente poco: tanto per fare un esempio l’ultima indagine sulle condizioni di lavoro degli omosessuali risale al 2011 ed è stata portata a termine dall’Arcigay, questi i risultati più salienti.

40% = persone che nascondono la loro omosessualità ai colloqui di lavoro

10% = omosessuali licenziati per motivi di discriminazione (almeno una volta)

65% = persone dichiaratamente omosessuali non assunte dopo averne fatto parola ai colloqui

80% = cittadini italiani che ritengono discriminate le persone omosessuali

In pratica in Italia serve un cambio netto di mentalità che non arriverà di sicuro dall’oggi al domani, purtroppo l’unica cosa che serve al momento sono le denunce di chi è costretto a subire queste situazioni, la paura in questo caso è la peggior nemica. Nel caso specifico dell’Istruzione l’omosessualità non deve in alcun modo andare ad influire sull’assunzione o meno di una persona: tantopiù per il fatto che in Italia anche le scuole paritarie ricevono soldi pubblici e sono quindi tenute a dare lavoro in maniera equa. Forse se al Sacro Cuore venissero tagliati i fondi per un annetto non vedrebbero più l’omosessualità come una malattia.