Tutti noi, anche se a vari livelli e con diversi canali, siamo fruitori d’informazione. Un’informazione che ha perso valore, soprattutto nell’editoria cartacea – che ha visto un calo di vendite dell’11,4% – a favore di un’aumento delle versioni online e degli abbonati a quotidiani digitali.
Ma ci siamo mai accorti che molto spesso subiamo passivamente gli strumenti dell’informazione mediatica e i relativi cambiamenti?
L’avvento della rete internet è considerata una delle maggiori conquiste della libertà e della democrazia – e questo in parte è sicuramente vero – ma nonostante la libertà d’informazione sia garantita dalla Costituzione, in un Paese come il nostro ci sono tante criticità che la contaminano e ne impediscono il pieno dispiegarsi.
Non sono liberi i giornalisti, che spesso devono correre dietro alla politica o all’economia per compiacere i loro capi, non scrivendo altro che articoli-marchette, e per logica conseguenza non sono liberi neanche gli utenti perché a loro arriva un’informazione già indirizzata e filtrata da “editori impuri” che usano il mercato delle notizie per fare i loro interessi in altri campi – come ad esempio nelle banche, che influenzano molto i sistemi editoriali – sia per il sistema cartaceo che per la rete.
Il fatto che che il business non guardi in faccia alla trasparenza e alla verità, è cosa nota anche fuori dal web, ma il giornalista dovrebbe essere imparziale perché ricopre la carica di mediatore tra i fatti e l’opinione pubblica. È chiaro che quando si parla di obiettività si parla di un concetto aleatorio, ma questo non vuol dire che non esiste l’obiettività perché va comunque sempre rispettata l’onestà intellettuale trattando le notizie in modo imparziale, raccontandole in buona fede dopo un attento vaglio delle fonti.
Un altro fattore che contamina la libertà d’informazione online è il poco approfondimento dei fatti: a fronte dell’overdose di notizie che costantemente bombarda la nostra quotidianità c’è infatti una mancanza di tempo per ciò che riguarda l’approfondimento degli avvenimenti che vengono raccontati da tantissime testate online. Sono pillole che ci vengono proposte a getto continuo, e ciò implica che non abbiamo abbastanza dati per poter giudicare le informazioni che troviamo – quante volte capita infatti di fermarsi solo alla lettura del titolo?
La quantità delle notizie fa male alla qualità delle stesse.
È solo una libertà illusoria quella che abbiamo; più informazione uguale a maggiore libertà è un’equazione che vacilla.
Il diritto, seppur con affanno, si sta mettendo al pari con la tecnologia – almeno in materia di web journalism – però il compito dei giornalisti dovrebbe essere, appunto, quello di dare in modo corretto e veritiero l’informazione. Cioè devono valutare, con scrupolo, se pubblicando una notizia violano altri diritti e altre norme.
In merito, si è recentemente votata al Senato la riforma del reato di diffamazione, che è passata alla Camera con 170 voti a favore, 10 contrari e 47 astensioni. Il reato di diffamazione (in diritto penale italiano è il delitto previsto dall’art. 595 del Codice Penale) si base dunque sulla “attribuzione per mezzo stampa di un fatto determinato falso” e della sua pubblicazione, sia che si tratti di testate cartacee che di testate online.
Tra i contenuti principali di questo disegno di legge c’è: l’introduzione del diritto all’oblio e lo stop al carcere, che soddisfa la senatrice Filippin secondo la quale l’obiettivo principale di questo disegno di legge resta “l’eliminazione della pena detentiva per i giornalisti responsabili del reato di diffamazione, richiesta che ci è stata manifestata in tutti i modi da parte dell’Europa, che considera ormai questa punizione arcaica e non più rispondente ai diritti di opinione e di informazione esistenti nel mondo reale”.
La pena detentiva è stata quindi sostituita con una sanzione pecuniaria, valutata dai dai 10 ai 50mila euro, in base alla gravità nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità. La proibizione di esercitare l’attività lavorativa, per un periodo che va da uno a sei mesi, è prevista solo nei casi di recidiva reiterata.
È auspicabile che, con l’introduzione di nuove norme e nuovi diritti, venga rispettata la libertà d’informazione, intesa come libertà degli utenti di essere informati senza condizionamenti, impedimenti, occlusioni esterni al mondo delle notizie.
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