‘Per fare questo mestiere bisogna amare la pellicola‘: questa frase riassume il flusso di accorate parole a cui Elio Sofia ha dato voce attraverso le testimonianze, i ricordi e talvolta i rimpianti delle maestranze delle sale cinematografiche catanesi protagoniste del film documentario – The Last Reel. L’ultimo metro di pellicola – che il regista, attore e sceneggiatore siciliano ha portato trionfante sul palco dello scorso Taormina Film Festival 2015, aggiudicandosi il Premio Cariddi, e dell’ottava edizione dello Sciacca Film Festival, acclamato dal pubblico.
Un momento di transizione e di evoluzione per il Cinema con il passaggio dal tradizionale sistema di proiezione cinematografica alla digitalizzazione. Una svolta epocale e non priva di contraccolpi, quelli accusati da chi il Cinema lo ha fatto, vissuto e amato, nostalgico del romanticismo della cinematografia firmata dai fratelli Lumière.
Preziose le testimonianze offerte dal Regista e Direttore della Fotografia Daniele Ciprì. Amici e colleghi d’arte, Leo Gullotta e Tea Falco, affiancano Elio Sofia nel suo progetto cinematografico sviluppato in tre anni di lavorazione e interamente autoprodotto. Ai nostri microfoni Sofia presenta il progetto a pochi mesi dal lancio, analizzando le criticità del genere documentario talvolta indigesto al pubblico delle sale cinematografiche e progetta il futuro. Un futuro di studio, approfondimento e sacrificio, quello che tocca a chi punta a diventare grande.
Con L’ultimo metro di pellicola hai dato voce alle maestranze del mondo delle sale cinematografiche, delle produzioni e delle distribuzioni, registrando nostalgia e talvolta dolore. Qual è stato il momento o la testimonianza più emozionante che hai raccolto in questo lavoro?
Tutte le interviste che hanno contribuito alla realizzazione del documentario mi hanno dato molte emozioni, proprio perché l’argomento evidentemente oltre che di stretta attualità è stato molto sentito, d’altronde per alcuni degli intervistati oltre che di un amore e passione per il cinema si parla di un lavoro esercitato per oltre 30 ma anche 50 anni come nel caso del proiezionista Nino Pecorino e del Gestore di Sala cinematografica Ludovico Gallina. Le loro sono esperienze nate da una passione scoppiata in giovanissima età, che poi è diventata un mestiere.

Catania e la tradizione cinematografica, dai floridi anni ’50 e ’60 alla digitalizzazione moderna con la fine della poesia racchiusa nello srotolamento di una pellicola. Il Cinema siciliano come si colloca oggi nel confronto nazionale e internazionale? Quali vanti e quali pecche?
La Sicilia ha una grandissima tradizione cinematografica che insieme a Torino la rende terra madre per il nascituro cinema italiano, ma con successi e importanza mondiale; non dimentichiamoci che la produzione di film muti vedeva nella Sicilia e a Torino i principali luoghi di produzione. Il Cinema in Sicilia ha vissuto tante stagioni, con alterne fortune; i grandi successi hanno presto lasciato il posto all’anonimato senza quindi una progettazione politica dietro, che rendesse duraturi i successi ottenuti in ambito internazionale. Non è un caso che Giuseppe Tornatore o Daniele Ciprì abbiano scelto di girare i propri film altrove. Ormai i film si girano lì dove ci sono soldi e strutture che consentano uno sviluppo produttivo maggiormente a supporto delle case di produzione; viviamo in un contesto storico nel quale le Film Commission decretano anche la fortuna di un territorio, basti pensare alla Torino Film Commission o alla Apulia Film Commission e a tutti i film e fiction che negli ultimi anni sono stati realizzati con il supporto delle suddette strutture politico regionali.
Il film documentario oggi che riscontro ottiene da parte di pubblico e critica? E’ un genere destinato a rimanere una nicchia, un ‘bicchiere di buon vino per degustatori’, o si sta evolvendo così da raggiungere un pubblico sempre più ampio e anche più giovane?
Negli ultimi anni si assiste ad una fiorente rinascita del genere documentario anche favorita da fattori diversi come la digitalizzazione, che rende più agile e accessibile la realizzazione degli stessi e la possibilità di accedere a piattaforme soprattutto televisive che prima non esistevano. Dai documentari naturalistici a quelli d’autore o di inchiesta c’è proprio l’imbarazzo della scelta, forse ancor di più occorre fare per portare i documentari nelle sale cinematografiche, visto che però occorre anche una “educazione” del pubblico per invogliarlo ad andare al cinema non solo a vedere le storie di finzione ma anche i documentari. I giovani in questo caso sono i maggiori protagonisti per quanto riguarda la produzione di documentari, ma discorso diverso per quanto riguarda almeno in Italia come pubblico fruitore. I giovani non vanno al cinema a vedere documentari, preferiscono al massimo vederli a casa facendo zapping tra oltre 1000 canali televisivi, perdendo magari la possibilità di conoscere e apprezzare validissimi lavori documentaristici che riscuotono successo anche a livello internazionale.

Il messaggio di un film e l’emozione di una storia cambia se seduti nella poltrona di una multisala US Style o seduti nella poltrona di un cinema retrò? Il contesto attorno allo spettatore incide sulla percezione del valore di un film?
Se si vuole essere nostalgici dico che la vecchia sala batte per storia e molte volte per bellezza estetica quella dei multisala; è ovvio che la battaglia si gioca tutta sulla qualità tecnica offerta in sede di proiezione ed eventualmente nella comodità. Il vero problema semmai è nelle “dimensioni”: siamo troppo abituati a vedere ormai i film o i documentari su portatili, pc o addirittura palmari e cellulari da aver perso totalmente il fascino emozionale dato dalla grandezza dello schermo, che avvolgendoti ti rendeva parte della storia… Possiamo dire quindi che nella visione cinematografica più che tra Monosala e Multisala quello che conta secondo me sono dimensioni dello schermo e qualità di proiezione. Andare al cinema per godere di dimensioni e qualità di proiezione che nemmeno il più intraprendente megalomane può ancora realizzare a casa propria.
Lo streaming. E’ giusto demonizzarlo?
Assolutamente no, è una grande opportunità. Semmai occorre raccordarlo in tempi e modi attraverso una regolamentazione del settore più equa che tenga conto delle esigenze del mercato e soprattutto della diversità delle sale cinematografiche. Ad esempio, il Distributore può pretendere un minimo garantito dalle sale cinematografiche se poi prende al tempo stesso accordi per una celere messa in onda via streaming, non è corretto e non mette i gestori di sala nella condizioni di fare programmazioni di lungo periodo magari riproponendo o postponendo la visione di un film. Speriamo che la politica trovi la giusta via che metta in comunicazione tutte le parti coinvolte.
Tea Falco è musa femminile nella tua opera prima. Che rapporto ti lega a lei e cosa ne pensi delle polemiche che l’hanno toccata a livello attoriale dopo la sua performance in 1992. E’ musa per Bertolucci ma bersaglio facile per il pubblico. Cosa le manca per raggiungere il grande pubblico?
Con Tea ci lega una conoscenza che risale nel tempo a quando sia io che lei eravamo due illustri sconosciuti, anzi lei era già una apprezzatissima fotografa. Ora lei è la Musa di Bertolucci e conosciuta nel bene e nel male da tutti, io sto cercando di farmi strada. Ritengo che l’operazione 1992 abbia fatto tanto bene alla rete televisiva Sky quanto male alla povera Tea, vittima di un gioco al bersaglio mediatico che è difficile da parare e da sostenere, ma come penso da tutte le cose, siano belle o brutte, si può trarre esperienza per le prossime occasioni e non farsi trovare impreparati. Ritengo che l’ausilio di un buon ufficio stampa avrebbe presto messo a tacere ogni cosa riducendola prima che scoppiasse come elemento di dibattito nazionale.
Il consiglio che do e che esercito io per primo è quello di continuare sempre a studiare, non sentirsi mai arrivati e di capire bene sotto ogni sfaccettatura il sistema e l’ambiente nel quale abbiamo scelto di investire le nostre capacità lavorative.

La soddisfazione più grande ottenuta con L’Ultimo metro di pellicola – oggi che hai ottenuto premi, l’hai lanciato nelle sale, lo hai offerto alla critica – qual è?
La soddisfazione più grande è e continua ad essere quella di vedere la gente emozionarsi nella visione del mio lavoro e di dirmi che si gode come un film. Un documentario di solito offre conoscenza testimoniata di fatti o persone, non sempre ha come obiettivo/risultato quello di emozionare il pubblico, quello di solito è proprio il compito dei film che attraverso una storia di finzione giungono ad emozionare il pubblico. Esserci riusciti con una opera prima di genere documentario non era facile e nemmeno scontato, ed ogni complimento ricevuto mi ricarica per cento e mi spinge ad andare oltre.
Tu, il Cinema e il Teatro. Da attore a regista, così come anche sceneggiatore. Artista poliedrico Elio, sei una promessa del panorama artistico catanese. Quale l’insegnamento più grande ad oggi ricevuto e da chi?
Ho avuto tante persone care vicino a me che ho eletto a Maestri per la loro esperienza, la loro capacità o la loro umiltà nella conduzione della loro vita. Alcuni di questi mi hanno formato materialmente e tecnicamente, come il grande Gianni Salvo, regista e anima pulsante del Piccolo Teatro di Catania, ma anche l’attrice Lucia Sardo e persino le mie insegnanti scolastiche che poi sono state le prime a suscitare in me l’amore per la recitazione. Altre persone, come Antonio Presti, sono senza dubbio dei Maestri e insegnanti spirituali che con la propria opera/vita danno ai giovani un giusto faro come riferimento di valori; e proprio una sua espressione mi accompagna sempre: “Non conosco e non mi appartiene la dimensione del problema ma solo quella della soluzione”. Ritengo che ognuno debba cogliere dalla realtà che ci circonda tutti gli insegnamenti possibili, ascoltare e vedere tutto e poi metterlo in discussione; ci si può ritrovare a dover prendere esempio anche dal signor nessuno che vediamo tutti i giorni all’angolo della strada oltre che da quella personalità nota e già affermata. Occorre sicuramente diffidare invece da chi si pone di suo come Maestro di vita, verità e soluzioni ai grandi problemi: questi sono i primi dai quali occorre fuggire.
Domani dove vorresti vederti? Sognavi di diventare regista e hai esordito con ‘L’ultimo metro di pellicola’. Adesso a cosa aspiri?
Ora ci si rimbocca le maniche, si comincia a fare sul serio, se voglio fare di questo una professione devo iniziare a pensare professionalmente al futuro e a rapportarmi ad un lavoro che ha dinamiche non semplici. Domani mi vedo senza ombra di dubbio fuori dalla mia amata terra per ragioni di tipo organizzativo e produttivo, ma sicuramente mi vedo come regista impegnato poi su un set sotto il nostro caldo sole per raccontare le tante bellissime storie che questa terra ha. Il mio sarò sempre un arrivederci e mai un addio, perché il legame e l’amore è troppo forte.

L’estero. Un banco di prova, una scuola imprescindibile, o un mondo lontano dai tuoi desiderata? Il confronto internazionale è tra i tuoi progetti o senti che l’industria americana del cinema con la sua talvolta ‘disumanizzazione’ è troppo lontana dal tuo modo di vivere il cinema e fare il cinema?
Io vedo l’estero come una grande opportunità e un banco di prova professionale dove vigono regole ferree, ma prima di tutte quelle della qualità e dei conti, senza dimenticare la meritocrazia. L’estero come Francia, Germania, Inghilterra e USA rappresentano, anche in periodi di crisi economica, Paesi che hanno ben capito che l’industria culturale e quella cinematografica rappresentano una sana via d’uscita dalla crisi. Non è un caso che non si siano registrati significativi tagli in questi settori in questi Paesi. In alcuni casi virtuosi si è assistito addirittura ad un incremento della spesa con le relative cadute positive per l’intera collettività e soprattutto per il suo benessere.
Su cosa stai lavorando adesso?
Sto lavorando molto alla comprensione del mondo produttivo, quali regole e quali tempi ha; in modo tale da poter mettere sui giusti binari i miei prossimi progetti, siano essi documentari o film. La cosa importante è che arrivino a vedere la luce della sala cinematografica o televisiva. Non ho un genere che prediligo o un linguaggio che vorrei sviluppare più di altri: mi piace raccontare le mie storie e spero di poterlo fare incontrando le persone giuste, sperando che mi mettano in condizioni produttive di poterlo fare. Sono molto esigente da me stesso.
Che storia vorresti portare in futuro a Cannes o Venezia, che storia vorresti venisse raccontata attraverso i tuoi occhi?
Credo molto nel connubio tra storia e immagini, con l’importante apporto della musica. Arrivare a presentare un lavoro a Cannes o a Venezia sarebbe già di per sé grandioso, ma il mio rispetto per questi luoghi e per la loro storia mi impone di pensare e portare eventualmente storie che siano all’altezza, ponderando bene il peso che la critica di settore ha su questi festival. Troppe volte si è assistito a lavori non apprezzati divenuti campioni di incassi e viceversa. Chi lo sa…ci proveremo con tutto l’entusiasmo e con tutta la forza. Buon Cinema!
Grazie ad Elio Sofia da Il Giornale Digitale