Se c’è un problema che i governi della Seconda Repubblica sono stati totalmente incapaci di affrontare è quello del rapporto tra magistratura e politica; una tensione tra i due massimi poteri dello Stato che ha centralizzato il dibattito e ha influenzato l’opinione pubblica.
Se ancora oggi determinate scelte dei giudici appaiono per alcuni partiti come delle mosse programmate per colpire un politico, quella tensione non può considerarsi sciolta.
Una discussione politica vecchia quanto la Repubblica
L’articolo 101 della Costituzione Italiana stabilisce che: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, a sottolineare quel principio di indipendenza, imparzialità e terzietà della magistratura.
In piena fase costituente Aldo Moro era fermo nell’affermare che: “è necessaria una limitazione per quanto riguarda l’appartenenza ai partiti politici. Si tratta di un sacrificio, ma il sacrificio è giustificato perché sia garantita la libertà dei cittadini, verso i quali i magistrati, per la loro stessa funzione, hanno obblighi diversi da tutti gli altri. È un sacrificio che ritorna ad incremento della dignità dei magistrati e a maggior garanzia della loro funzione. Ritiene che i magistrati debbano essere non soltanto superiori ad ogni parzialità, ma anche ad ogni sospetto di parzialità e crede che questa estraneità formale dalla lotta politica conferisca una maggiore dignità alla Magistratura, cosicché il magistrato possa obbedire veramente soltanto all’imperativo della propria coscienza”.
Non una frase astratta estranea alla realtà ma una concreta risposta ad un dubbio che ha notevolmente influenzato i dibattiti dell’epoca, con non pochi politici che non vedevano il perché un giudice non potesse avere una tessera di partito e partecipare attivamente alla vita politica.
![Credits Photo: [politica.nanopress.it]](https://www.ilgiornaledigitale.it/wp-content/uploads/2014/09/igd_fc421ce97beba52a41deca242ffae1b3.jpg)
Tangentopoli
Non c’è stato nella storia repubblicana del Paese un punto di criticità maggiore tra magistratura e politica di quanto accaduto durante le inchieste di “Tangentopoli”.
L’opinione pubblica si schierò in maggioranza dalla parte dei PM e il pomo della discordia fu rappresentato dalla legge sul finanziamento pubblico ai partiti , percepita come priva di senso laddove quel denaro non serviva al mantenimento dei partiti ma diventava veicolo di corruzione.
Nacquero comitati e movimenti spontanei, la Dc in pochi mesi di fatto implose e i personaggi del pool di indagini divennero vere e proprie star appoggiate da un consenso trasversale. Una pioggia di avvisi di garanzia colpì il Parlamento, e sulla spinta delle proteste il governo Amato dovette sollecitare le dimissioni di ogni suo componente raggiunto da un avviso di garanzia. Le inchieste infatti interessarono anche molti ministri, tanto che l’esecutivo raggiunse una percentuale di dimissioni senza precedenti.
Il resto, l’arrivo di Berlusconi, l’accusa da parte di Forza Italia verso i magistrati di avere di fatto attuato un colpo di Stato per favorire l’avvento della Sinistra al governo, Di Pietro che sveste i panni di PM e inizia a fare politica; anche se appare lontano tutto sommato è ciò che ha posto le basi della politica
odierna.
![Credits Photo: [archiviofoto.unita.it]](https://www.ilgiornaledigitale.it/wp-content/uploads/2014/09/igd_04c0434b2c59ba34be4cd7f1de08abbe.jpg)
Riforma della Giustizia
E poi c’è la Riforma della Giustizia, quel provvedimento ritenuto necessario da ogni governo di sinistra o destra che si sia alternato nella Seconda Repubblica. Ogni coalizione l’ha sempre considerato sotto punti di vista differenti, ma nessuno ha mai negato l’importanza di riformare aspetti ritenuti arcaici e malfunzionanti nel meccanismo della magistratura. Dal dibattito o meno sulla divisione delle carriere, ai provvedimenti messi in atto dall’attuale governo Renzi e passati quasi inosservati.
Infatti molte novità dell’ordinamento giudiziario sono già in vigore, tra cui il decreto 132, uscito nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 settembre; il provvedimento ha fatto molto discutere per alcune misure tra cui la riduzione delle ferie dei pubblici ministeri, ma è incentrato soprattutto sul delicato tema dell’arretrato civile.
Una velocizzazione nella risoluzione dei conflitti tra privati è prevista attraverso la possibilità di spostare il procedimento dal contenzioso civile a quello arbitrale.
Non mancano però le criticità evidenziate da studiosi e da noti avvocati che sottolineano luci ed ombre sulla riforma della giustizia, vista da alcuni come una mossa tesa solo a rendere ancora più confusa la gestione dei processi. Un conflitto che almeno per adesso sembra non poter avere risoluzione, due visioni talmente opposte da sembrare quasi inconciliabili a scapito di riforme quantomai necessarie.
[ Credits foto in evidenza: cosapubblica.it ]