Per molte persone la parola ‘matrimonio‘ non è altro che l’equivalente sentimentale dell’Herpes Zoster, meglio conosciuto come il temutissimo Fuoco di Sant’Antonio che, con pustole e vescicole orripilanti, è capace di regalare intensi momenti di dolore e prurito.
Ma se al mondo c’è chi teme i legami nello stesso modo in cui i felini temono il bagno in vasca, una considerevole parte della popolazione (femminile) dimostra di vivere i primi 30 anni della vita come una maratona affannosa, rivolta al traguardo del ‘Si lo voglio‘.
Certo, non tutte le signore sognano l’abito bianco e i confetti assortiti, ma la realtà dei fatti è che la maggior parte di esse immagina di sfoggiare un diamante ancor prima di avere messo i molari.
Ci sono diverse motivazioni che rendono il matrimonio oggetto di desiderio da parte delle donne, alcune di ordine culturale altre di natura più pratica e materiale. Ma procediamo con ordine.
La prima spinta verso la vita coniugale è la religione: da secoli la Chiesa incentra il disegno di vita dell’uomo sulla unione solenne tra questi e una donna, considerata unica via fisicamente percorribile per generare la prole e consentire la prosecuzione della specie.
Non a caso la famiglia più popolare al mondo, e cioè quella formata da Giuseppe e Maria, viene vista dai fedeli come un modello di vita ‘standard‘ a cui uniformarsi, una sorta di bracciale Pandora obbligatorio, da potere però personalizzare a proprio piacimento.
Nella fase infantile della vita un altro fattore determinante è rappresentato dalle favole che vengono lette alle più piccole: che si tratti di Cenerentola, Biancaneve o La Sirenetta, ogni storia termina odiosamente con il ‘Vissero per sempre felici e contenti‘.
La colpa, dunque, non sarebbe da attribuire unicamente ad una mentalità ancestrale della donna, bensì a informazioni di un certo tipo a cui la bambina viene sottoposta sin dalla tenera età, periodo in cui ogni sacrosanto finale prevede un voto all’altare.
C’è da dire anche che la femmina, per sua inclinazione naturale, possiede un fortissimo istinto materno e durante l’infanzia cerca di emulare il suo primo modello di vita: la propria madre.
Ecco perché da piccole giochiamo tutte con passeggini e biberon, mimando alla perfezione situazioni e gestualità del nostro futuro.
Pur non vivendo la vita di Maria Antonietta d’Austria è chiaro che ancora oggi le donne subiscano una educazione finalizzata al matrimonio e alla maternità, in una infanzia vissuta tra fiabe con finali da diabete e aspettative pressanti dei nostri genitori.
La cosa terrificante è che il periodo che separa i Barbapapà dai 30 anni passa più veloce di quanto si possa immaginare, e realizzare che Peter Pan altro non era che un bugiardo mal vestito può sconfortare parecchio.
La fase dei 30 rappresenta per gli psicologi ciò che il punto G è per i sessuologi: un vero e proprio mistero.
Qualcosa scatta irrimediabilmente nella mente della donna, d’improvviso animata dalla voglia di cambiare vita e passare ad una fase successiva.
L’esistenza diventa d’un tratto come un quadro di Super Mario Bros: fatta di step necessari da superare per accedere al livello più alto. Ma perché tutto questo?
Secondo la psicologia le ragioni sarebbero da ricercare in più fattori, tutti legati alla evoluzione fisica e mentale della mente femminile.
La prima ragione è da imputare al fatto che dopo i 30 la donna si sente meno bella e desiderabile rispetto a quando era adolescente, periodo in cui la solitudine veniva percepita come qualcosa di vagamente simile agli Ufo.
La improvvisa paura di restare zitelle, dunque, è uno dei motivi principali per cui ‘da grandi’ ci si imbatte in storie fatte di matrimoni lampo, in cui conoscenza, fiori d’arancio e marmocchio hanno la stessa durata di un paio di collant.
Senza considerare i fattori esterni, e cioè le amiche già sposate e i messaggi derivanti da libri e film come ‘Pretty Woman’, ‘Il Diario di Bridget Jones‘ e tutte le storie a base di Principe Azzurro.
Sposarsi non è più quindi una questione di sentimenti: il matrimonio fa parte ‘del menu’ e si trasforma in un traguardo sociale più importante dell’amore stesso, come i diciottanni, la patente, la laurea, un figlio.
La voglia di vivere felici e contenti rappresenta solo una piccola parte del piano; se così non fosse perché percepire la fede al dito come una necessità? Perché rendere pubblico un legame che potrebbe vivere in eterno anche senza una firma?
Le ragioni psicologiche individuate da specialisti sono molteplici: vanno dal controllo della vita del partner alla necessità irrefrenabile di ufficializzare un certo status sociale.
Dai sondaggi la realtà che emerge è abbastanza singolare; alla domanda ‘Perché sposarsi?’ le risposte più frequenti sono: ‘Volevo andare via da casa’,’Volevo un figlio’, ‘Volevo indossare l’abito bianco’, ‘Volevo accontentare mia madre’,’Volevo mantenere per sempre il tenore di vita che lui mi permetteva di avere quando eravamo fidanzati‘.
Ci sono poi studi come quello della sociologa canadese Anne-Marie Ambert, professoressa all’Università di York, che basano il matrimonio su ragioni di comodità:
Una coppia sposata è una piccola agenzia di salute e benessere i cui rischi sono a carico dei volontari. Il matrimonio riduce il costo della sanità, gli investimenti per la previdenza, le spese giudiziarie e di polizia; riduce i costi relativi all’abuso di alcool, droghe, di malattie sessualmente trasmissibili. In più, quando le persone sposate hanno figli si coinvolgono di più nella scuola e nel vicinato, contribuendo alla migliore stabilità della loro zona e del sistema educativo’.
Dunque, che fine ha fatto l’amore?