Ormai da alcune settimane sono ricominciati gli scontri nella striscia di Gaza e il rischio è che proseguano ancora per molto. Cerchiamo di capire al meglio la situazione in quella parte del Medio Oriente.

Già in passato questo territorio è stato oggetto di bombardamenti da parte di Israele e poco conta, davanti alla cruda realtà dei fatti, che gli israeliani sostengano che gli obiettivi dei missili sono i dirigenti politico-militari di Hamas, i depositi di armi e i luoghi da cui sono lanciati i missili verso Israele. La realtà che tutti abbiamo chiara è che, in una zona così densamente popolata, è un’illusiione pensare che si possano compiere attacchi chirurgici.E la situazione potrebbe anche peggiorare se i reparti militari e i mezzi corazzati che Israele ha posizionato alla frontiera di Gaza dovessero iniziare un attacco via terra.

Appare,così, necessario domandarsi il motivo di questa crisi che va a sommarsi ad un panorama già destabilizzato in modo pesante a livello regionale. La causa della crisi non va ricercata nell’orrore dell’uccisione dei tre adolescenti israeliani seguita dall’assassinio del ragazzo palestinese, anche se non c’è dubbio che gli efferati episodi hanno aumentato le ostilità tra israeliani e palestinesi. Può sembrare paradossale ma la barbarie di questi crimini incrociati ha portato un po’ tutti alla riflessione mentre il comportamento delle famiglie delle vittime ha spostato il discorso dal piano politico a quello personale e umano.

Cos’è cambiato rispetto agli scorsi mesi? E ancora cos’hanno in testa non tanto gli israeliani e i palestinesi che rappresentano comunità umane e politiche tutt’altro che omogenee ma i protagonisti politici: da una parte Netanyahu e dall’altra la dirigenza di Hamas?
Che senso ha per Hamas sparare su Israele non solo razzi rudimentali ma anche missili di media gittata in grado di colpire l’intero territorio israeliano? L’uso di mezzi militari ha un’utilità se può mirare alla sconfitta del nemico, ma è da escludere che Hamas pensi seriamente di poter sconfiggere il potente esercito israeliano. C’è anche un altro modo di usare la violenza militare, quello che ha lo scopo di piegare la volontà del nemico. Una logica di tipo terrorista,che, va precisato, può essere attuata anche dagli Stati. Anche qui,però, rimane una domanda senza risposta: veramente qualcuno può credere che, in seguito alle guerre e ai numerosi attacchi succedutisi fino ad oggi, gli uomini d’Israele vengano intimiditi da quei missili lanciati a caso?

E quale senso può avere la rottura da parte di Hamas di una strategia di relativa moderazione, rottura che mette la parola fine in modo prematuro al recente patto con Abu Mazen?
Non facile intuire il motivo del comportamento di Hamas, se non si vuole prendere in considerazione un’ipotesi azzardata ma non da escludere in toto. E’ infatti possibile che al suo interno inizi a farsi sentire l’effetto di ciò che sta succedendo tra Siria e Iraq con la proclamazione dello Stato Islamico e del Califfato. Di certo è presente una componente retorica, quasi teatrale in questo ripescaggio delle antiche glorie dell’Islam. I simboli ,però, a volte riescono a produrre effetti reali, dando vita a potenti ondate di mobilitazione politica. E non si deve dimenticare che Hamas rappresenta, a differenza di Hezbollah, un movimento sunnita, e come tale, potrebbe non rimanere indifferente agli appelli dell’improbabile Califfo e soprattutto agli scenari che si aprono con l’offensiva dei jihadisti in Iraq, un’offensiva arrivata ormai molto vicina, al confine con la Giordania.

Negli ultimi giorni dal bunker dove si nasconde sotto la sabbia di Gaza, Ismail Hanniyeh, ex premier del governo nella Striscia, conferma le condizioni per fermare il lancio di missili contro le città d’Israele. Sono d’altronde le identiche richieste che i capi militari fondamentalisti ripetono dalle prime ore dell’offensiva: riapertura del valico di Rafah da parte dell’Egitto, il pagamento degli stipendi di 40mila dipendenti da parte dell’Anp e la liberazione di 56 detenuti in Israele. Quella, però , che appare unità di obiettivi con i generali dell’esercito irregolare è più probabilmente debolezza dei leader politici che devono seguire la linea indicata dal comandante delle Brigate Ezzedin. Un nome da anni senza un volto ma la cui voce nella guerra di due anni fa aveva esaltato le azioni dei miliziani. La decisione di rifiutare la tregua proosta dall’Egitto senza neppure considerarla sarebbe proprio sua. Un analista ha scritto, però, su un quotidiano israeliano che ” non è chiaro chi stia dando gli ordini dentro Hamas. I boss militari? I capi politici ormai indeboliti o quelli che vivono all’estero tra Qatar e Turchia? In queste situazioni prevalgono i più estremisti, quelli che hanno una linea diretta con le squadre che sparano i razzi”. Sempre sullo stesso quotidiano d’Israele si legge che “lo scontro ha restituito prestigio ai fondamentalisti nel mondo arabo.”

Se appare difficile comprendere il modo di comportarsi di Hamas, lo stesso si può dire per il governo israeliano, e in particolare del primo ministro Netanyauh. Il punto non è tanto la risposta al lancio di missili, che rappresenta una legittima difesa su cui si può soltanto obiettare per il modo in cui viene compiuta e le pesanti perdite civili: si pensa al concetto di eccesso di legittima difesa che esiste nel dirtto penale.
Rimane, semmai , aperta la questione del senso, del disegno politico in cui dovrebbe inserirsi qualunque utilizzo della forza militare. Nessuno è convinto che sia realizzabile una permanente occupazione israeliana della striscia di Gaza, che rimarrà invece un focolaio di rabbia e estremismo politico. Estremismo che è cresciuto non per ragioni ideologiche o religiose ma per la assoluta mancanza di prospettive di una soluzione negoziale. E’ sufficiente citare l’aspetto più grande e in assoluto meno giustificabile della politica del governo israeliano: i settlements, ossia quegli insediamenti di coloni che rendono sempre meno fattibile l’ipotesi di uno Stato palestinese..

Si può ipotizzare che i lanci prima o poi termineranno e che si ritornerà a quello che faticosamente si definisce normalità. Per paradosso la previsione che anche questa crisi confermerà lo status quo resta la più ottimista. Le cose infatti potrebbero anche andare peggio. Qualcuno, infatti, ha scritto che il fatto che i razzi di più lunga gittata siano di fabbricazione iraniana potrebbe dare forza a coloro che spingono per un attacco d’Israele all’Iran.

Tornando alla situazione reale, il presidente palestinese Abu Mazen è convinto di poter aiutare il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi ad andare oltre l’ostacolo rappresentato dal rifiuto di Hamas. Il motivo, spiegano fonti palestinesi, è che “Hamas ha rifiutato la tregua egiziana perchè non le garantiva risultati,limitandosi alla cessazione del fuoco”. Abu Mazen,invece, proporrà di concedere subito a Hamas la riapertura del valico di Rafah, essenziale per gli scambi di Gaza col resto del mondo. Il presidente palestinese crede di riuscire a garantire ad Hamas anche un secondo risultato ossia l’arrivo dei fondi necessari per pagare gli stipendi ai 40mila dipendenti dell’amministrazione di Gaza. L’iniziativa di Abu Mazen ha il sostegno degli Stati Uniti e scaturisce dalla volontà di impedire l’attacco di terra da parte di Israele. Le minacce di Israele rappresentano uno strumento in più per la mediazione di Abu Mazen che mira ad avere un ruolo di primo piano nella risoluzione del conflitto per rafforzarsi agli occhi del popolo di Gaza come leader dell’unità nazionale.Dalla sua parte ci sono la Lega Araba e la Turchia mentre dalla parte opposta c’è la Siria di Al Assad,alleato dell’Iran che ha attaccato Israele nel suo discorso di giuramento accusandolo di voler assogettare gli arabi.

In tutto questo un ruolo molto marginale è recitato ancora una volta dall’Europa che non riesce neanche a trovare un accordo su chi dovrebbe rappresentare la politica estera dell’Unione Europea rinviando la decisione addirittura al prossimo mese. Verrebbe da ripetere, a proposito della comunità internazionale, la risposta che Gandhi diede quando gli chiesero cosa pensasse della civiltà occidentale : “sarebbe un’ottima idea”