Nei giorni scorsi una delle roccaforti del partito Repubblicano negli Stati Uniti ha detto basta alla pena di morte; questa settimana il Nebraska, uno degli stati delle Grandi Pianure del Nord America, ha definitivamente abolito la “morte di Stato”, inutilizzata materialmente dal 1997. Una scelta che pesa maggiormente poiché voluta dal Parlamento che ha vinto la propria battaglia con 30 voti a favore e 19 contro. Anche il Governatore repubblicano Pete Ricketts, che ha sostenuto fino all’ultimo che “non siamo la California o il Texas, che hanno centinaia di prigionieri in attesa di morire, noi usiamo la pena di morte con giudizio e con prudenza”, ha dovuto arrendersi; il suo veto infatti è stato inutile di fronte alla maggioranza. Con questa scelta, il Nebraska diventa il primo Stato americano controllato da repubblicani che abolisce la pena di morte dopo il North Dakota, che fece lo stesso nel 1979.

Nel 2015 quindi il Nebraska diventa il diciannovesimo stato ad abolire la pena di morte dopo Michigan (1846), Rhode Island (1852), Wisconsin (1853), Maine (1887), Minnesota (1911), Porto Rico (1929), Alaska (1957), Hawaii (1957), Iowa (1965), Vermont (1965), Virginia Occidentale (1965), District of Columbia (1972), Dakota del Nord (1973), Massachusetts (1982), New York (2004), New Jersey (2007), Nuovo Messico (2009), Illinois (2011), Connecticut (2012) e Maryland (2013). Una scelta importante e significativa che dimostra quanto la propria ragione possa fare molto di più di un’ideologia; tanti tra coloro che hanno votato questa legge sono e rimangono repubblicani ma con una visione personale e coscienziosa. Il Nebraska ha scelto liberamente che lo Stato non può decidere della vita e della morte di una persona, malgrado si tratti di soggetti che hanno commesso crimini gravissimi e per i quali da questo momento in poi verranno puniti con l’ergastolo.

Quella del popolo del Nebraska è stata una scelta coraggiosa e forte quanto quella che hanno preso gli irlandesi nei giorni scorsi; l’Irlanda infatti attraverso un referendum da questo momento permette anche agli omosessuali di sposarsi civilmente. L’Irlanda, che solo due decenni fa condannava ancora come reato l’omosessualità, ha scelto liberamente che le persone, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, debbano avere gli stessi diritti, soprattutto la possibilità di sposare chi si ama; il 62,1% dei votanti irlandesi, che sono andati numerosissimi alle urne, ha detto “sì”, mentre i “no” sono stati il 37,9%.

E quegli Stati che si proclamano ambasciatori di diritti civili e libertà cosa fanno? Sostanzialmente stanno a guardare e attendono che altri facciano gli sforzi di cambiare al posto loro. L’Europa continentale, storicamente culla del progresso, delle rivoluzioni, della lotta per i diritti è ferma e implode in se stessa, incapace di dare segnali forti. Il benessere prima, la crisi dopo, ha portato gli europei a non fermarsi più a riflettere sulla propria situazione e a non impegnarsi in nulla che non sia la ricerca di un benessere materiale sempre maggiore, ma soprattutto apparente.

Mentre l’Europa pensa alla crisi e al ritorno del benessere economico, che per quanto importante non dovrebbe essere l’unico fine della politica, uno Stato ultra repubblicano negli USA abolisce la pena di morte e un Paese tradizionalmente cattolico in Europa istituisce le nozze gay. Sono queste le sorprese della vita, le persone che ci stupiscono, che abbandonano i preconcetti, le ideologie e si lasciano guidare dalle proprie idee e dai propri sentimenti. Marco Mengoni canta “credo negli esseri umani che hanno coraggio di essere umani” e il significato è proprio questo: avere la forza di fare scelte difficili, andare controcorrente, lottare non solo per le “nostre” battaglie ma soprattutto per quelle degli altri, che poi alla fine appartengono di tutti.

[Fonte Cover: www.chicagotribune.com]