Nell’era Berlusconi pochi di voi avranno visto giocare il Diavolo in contropiede, perché storicamente la filosofia di gioco dei rossoneri prevede un predominio territoriale e un maggiore possesso palla rispetto all’avversario. Così è stato il leggendario Milan di Sacchi e dei tre olandesi, quello di Carlo Ancelotti e quello più pragmatico di Fabio Capello.
Il tasso tecnico e i tanti campioni in campo consentivano di avere il pallino del gioco e di imporre il ritmo partita per quasi novanta minuti. Da Rijkaard a Pirlo, da Baresi a Nesta, da Gullit a Shevchenko, da Savicevic a Kakà, il Milan ricco di giocatori straordinari ha sempre cercato di vincere attraverso il suo credo calcistico, a prescindere dalle squadre che ha avuto di fronte.
Oggi quel Milan che spadroneggiava in Europa (8 finali di Coppa Campioni disputate e 5 successi) è impossibile rivederlo; la società ha tirato, e non poco, la cinghia e i grandi acquisti a cui i tifosi erano abituati (Van Basten, Gullit, Nesta, Shevchenko, Rui Costa, Baggio) sono un miraggio.
La campagna rafforzamento dei rossoneri prevede l’arrivo di giocatori in scadenza di contratto o attraverso la formula del prestito, o con pagamenti rateizzati: Galliani negli ultimi anni non ha mai sborsato cifre esorbitanti per il cartellino di un giocatore.
Di conseguenza anche il gioco mostrato dal Milan è cambiato, dovendosi adattare al tipo di giocatori a disposizione dell’allenatore. La squadra di Allegri, Ibra-dipendente, ha sfruttato le potenzialità del fenomeno svedese riuscendo a vincere un campionato, ma racimolando poco niente dopo il suo addio. Dopo il passaggio del centravanti al PSG, il Milan di Max, statistiche alla mano, ha quasi sempre avuto supremazia territoriale sull’avversario ma, combinata con una manovra lenta, questo modo di giocare ha sempre lasciato spazio alle ripartenze, mettendo a nudo tutti i limiti della difesa rossonera.
A differenza di Allegri, Inzaghi ha impostato il suo Milan in maniera completamente differente per sfruttare le potenzialità tecniche e dinamiche dei suoi attaccanti: linea di difesa abbastanza bassa, centrocampo di quantità con De Jong regista e due mezzali dai polmoni d’acciaio come Poli e Muntari, supportato dai tre là davanti che si sacrificano in fase di non possesso.
Così il 4-3-3 di Pippo Inzaghi diventa un 4-5-1, ma sulla riconquista della palla si cerca la verticalizzazione immediata per dare il là al contropiede e sfruttare la velocità di Menez, El Shaarawy, Bonaventura, Honda e Torres. Tre quattro passaggi, incrocio delle punte, inserimento delle mezzali e terzini che accompagnano l’azione: questo il menù proposto da Inzaghi ai suoi giocatori e alla società per cercare di essere competitivi e far divertire i tifosi rossoneri.
Il Diavolo è diventato una squadra tutto cuore e corsa e rispecchia alla perfezione il carattere, la grinta e la mentalità vincente del suo allenatore. Inzaghi in trans agonistica che passeggia su e giù per la panchina, urla e sbraccia, e poi corre a festeggiare l’autore del gol è l’immagine più significativa di questo nuovo Milan.
Da contropiede.