Uno dei fatti più importanti di questa settimana è stata la sentenza sorprendente del processo per le minacce del clan dei Casalesi a Roberto Saviano, il famoso scrittore che si batte da anni contro la camorra, e alla giornalista e senatrice del Pd, Rosaria Capacchione. L’esito, infatti, ha stabilito la condanna solo per l’avvocato che aveva leto in aula la lettera dei boss, considerata una grave forma di intimidazione verso chi indaga sulla camorra e di chi ne scrive su libri e giornali i crimini. La sorpresa sta nell’assoluzione dei boss in nome dei quali furono pronunciate quelle frasi ritenute intimidatorie.
La sentenza è stata emessa, dopo oltre due ore di camera di consiglio, dalla terza sezione del Tribunale di Napoli, presieduta da Aldo Esposito.

Questa sentenza recepisce solo in parte le richieste della procura antimafia: un anno di reclusione con pena sospesa all’avvocato Michele Santonastaso, che sarà costretto al risarcimento dei danni a Saviano, Capacchione e all’Ordine dei giornalisti della Campania che si sono costituiti parte civile. Assolti «per non aver commesso il fatto» i boss casalesi Francesco Bidognetti, soprannominato Cicciotto ’e Mezzanotte, e Antonio Iovine, il Ninno, che da mesi ha deciso di collaborare con la giustizia svelando i retroscena sul sistema di collusioni e il potere economico della cosca (375 gli episodi riferiti al termine dei 180 giorni fissati dalla legge e sui quali un pool di magistrati sta sviluppando le indagini). Per Bidognetti, come per Santonastaso e per l’avvocato Carmine D’Aniello (anch’egli assolto oggi) il pm Cesare Sirignano, prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio, aveva confermato la richiesta di condanna – a un anno e sei mesi di reclusione – per minacce aggravate dalla finalità mafiosa, richiesta formulata al termine della requisitoria dal pm Antonello Ardituro, ora al Csm.

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Il processo è connesso a quanto successo nel 2008 nell’aula bunker di Poggioreale dove si celebrava il processo di appello Spartacus con imputati decine di capi e gregari della cosca.
Spartacus” è il nome di uno dei più importanti processi sulla mafia degli ultimi anni, condotto soprattutto contro esponenti del clan della camorra dei Casalesi: è stato il risultato di una grande indagine portata avanti dal 1993 al 1998 dalla Procura Antimafia di Napoli. Il processo è terminato nel 2010, quando è stata emessa la sentenza di terzo grado di giudizio. Gli imputati erano 31: tra loro Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone (soprannominato “Sandokan”).

Durante l’udienza del 13 marzo 2008 del processo d’appello, l’avvocato Santonastaso aveva letto un testo firmato da Bidognetti e Iovine (all’epoca latitante) con cui si chiedeva la remissione, il trasferimento del processo in un’altra sede. Ecco le spiegazioni di questa richiesta: i giudici sarebbero stati influenzati da un lato dai magistrati antimafia Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone (vicenda per la quale è in corso un processo parallelo a Roma con i magistrati napoletani nelle vesti di parti offese) e dall’altro dai testi di Saviano e dagli articoli della Capacchione che avrebbero creato un’atmosfera sfavorevole per il destino degli imputati. Per inquirenti e investigatori era da considerarsi una grave forma di intimidazione e nel maggio del 2014 il pubblico ministero Antonello Ardituro ha chiesto il massimo della pena – un anno e sei mesi di carcere – per Bidognetti e per i due legali, mentre ha chiesto l’assoluzione per «insufficienza di prove» per Iovine, arrestato nel 2010 dopo 14 anni di latitanza e diventato nel frattempo un collaboratore di giustizia. Durante i quasi due anni di processo sono stati ascoltati molti testimoni tra cui lo stesso Saviano. è stata, tra l’altro, aumentata la protezione a Saviano e data la scorta alla giornalista. La sentenza di lunedì pare aver deciso che quel “proclama”, come era stato chiamato, aveva un preciso valore di intimidazione ma ne attribuisce la paternità solamente a Santonastaso.

Non poteva mancare la reazione di Saviano che dimostra di non perdere la fiducia «Non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra», le parole dello scrittore che ha seguito l’intera udienza seduto a fianco del suo legale e che non risparmia parole di disprezzo per i camorristi («sono guappi di cartone»). «Dare la scorta a chi scrive – ha aggiunto – significa permettere di scrivere e garantire un diritto costituzionale. Spero che questa sentenza possa essere un primo passo verso la libertà, che ora ci possa essere una mia vita nuova».

Giunto a Napoli per la lettura della sentenza, su Facebook Saviano aveva scritto: «Ed eccomi qui, nella stanzulella dove ogni volta aspetto che inizino le udienze. Tra queste quattro mura ormai mi sento a casa. Ogni tanto entra un giornalista. Più raramente un amico venuto a darmi coraggio». Lo scrittore ha spiegato il processo affermando che è un procedimento «unico, a suo modo senza precedenti perché, per la prima volta vengono accusati i vertici di un’organizzazione criminale per aver aggredito la libertà di stampa». Si tratta «di boss accusati dall’antimafia non come mandanti ma come diretti esecutori. Non solo: accusati con i loro avvocati di aver minacciato attraverso uno strumento processuale».

Dopo la sentenza emessa dal tribunale di Napoli, riflettendo a mente fredda, Roberto Saviano aveva affermato di voler tornare in America. «Sì, torno in America – ha dichiarato lo scrittore di Gomorra ospite di Ballarò in risposta al conduttore, Giannini- tu resteresti in Italia dopo che hanno assolto Iovine e Bidognetti?».
«Via, via, vieni via di qui. Niente più ti lega a questi luoghi. Neanche questi fiori azzurri. Via, via, neanche questo tempo grigio. Pieno di musiche e di uomini
Che ti son piaciuti
». Questo il messaggio (canzone di Paolo Conte) che ha messo mercoledì Roberto Saviano sui Social network. Lo scrittore pubblica anche una foto scattata a bordo di un aereo.

L’altra vittima delle minacce,Rosaria Capacchione, non è però d’accordo con le critiche che Roberto Saviano ha fatto alla sentenza. I due simboli della lotta alla camorra si spaccano. Le parole usate da Saviano (“Non mi dò pace”)hanno indotto ad intervenire l’Anm per difendere i giudici napoletani. La giunta distrettuale di Napoli dell’Associazione nazionale magistrati ha scritto una nota per esprimere «amarezza e sconcerto» per le frasi di Saviano sulla sentenza di assoluzione dei boss Francesco Bidognetti e Antonio Iovine dall’accusa di averlo minacciato. «Ancora una volta a fronte di una decisione di un organo giurisdizionale non gradita, non si esita a delegittimare la magistratura accusandola addirittura di pavidità. Si finge in tal modo di non comprendere che proprio con tali parole si mina la fiducia dei cittadini nell’operato della giustizia. Dichiarazioni rese soprattutto quelle dopo la lettura del dispositivo ed in mancanza delle motivazioni della decisione, che non considerano che la rigorosa valutazione della prova emergente dagli atti del processo rappresenta garanzia per tutti i cittadini innanzi alla legge. Tali condotte sono inaccettabili tanto più nei confronti di magistrati con la schiena dritta, impegnati quotidianamente nella lotta alla criminalità organizzata».

La giornalista de Il Mattino e parlmentare Pd, Rosanna Capacchione, ha espresso le sue perplessità sulle parole di Saviano in una lettera aperta, uscita su Il Messaggero dal titolo chiarissimo “Caro Saviano, non sono d’accordo, quela sentenza per me è giusta“. “Il fatto è che giornalisti e opinionisti, a partire da me, si affannano a parlare dell’avvento della borghesia mafiosa che ha soppiantato i vecchi boss con la coppola storta e la lupara; ma poi, quando si scontrano con un vero borghese mafioso, con un professionista prestato alla mafia non lo riconoscono” queste alcune sue parole.

PRESENTA ZIONE DEL LIBRO L'ORO DELLA CAMORRA

Uniti dalle minacce dei clan – anche a Rosaria Capacchione, come Saviano, è stata assegnata da tempo la scorta – ma separati sul giudizio della sentenza di qualche giorno fa. Quando incontrano il borghese mafioso, prosegue Capacchione, questi giornalisti “cercano mille pretesti per non tributargli la patente di mafiosità. Vorrebbero che fosse armato e che parlasse lo slang casalese e che indossasse la vecchia divisa, così rassicurante con le sue macchie di sangue e il suo visibile potere di minaccia”. Ed ecco allora che “quando una sentenza finisce per condannare il colletto bianco e assolvere i vecchi mafiosi, ci si straccia le vesti gridando alla giustizia negata”.

La senatrice Pd sottolinea di avere seguito Spartacus “da cronista e da parte del processo”. E di essere convinta, “al di là dei tecnicismi giuridici e della capacità di resistenza della decisione in tutte le fasi del giudizio, la storia può essere andata davvero così. E che l’avvocato, quel giorno, per difendere i suoi clienti difese anche se stesso, che per una volta e nel processo più importante, quello che conosciamo con il nome di Spartacus, non era stato in grado di mantenere le promesse”.
Se era prevedibile che questa sentenza avrebbe fatto discutere, meno scontato era che avrebbe creato divisioni anche tra Saviano e la Capacchione. L’auspicio è che la frattura si ricomponga e che in futuro lo scrittore decida di tornare in Italia perchè c’è bisogno di gente come lui e il fatto che abbia scelto di andarsene è una sconfitta per tutti coloro che vogliono un Paese più giusto.