La telecronaca è uno dei tantissimi aspetti tecnico-ludici tipici del giornalismo sportivo: permette di raccontare, nei minimi dettagli, con passione e precisione, quello che accade davanti ai nostri teleschermi. Quando, al di là del “tubo catodico”, si svolge, nella realtà, uno degli innumerevoli eventi sportivi che meritano una voce esperta e decisa a raccontarne le fasi salienti. Permette di seguire con maggiore attenzione, spiega e cerca di decifrare numeri, segnali meno accessibili ai più, ed è un modo, come tanti modi del giornalismo a 360° gradi, di raccontare a chi ci ascolta una verità che, altrimenti, vivrebbe solo di rumori di sottofondo, bandierine e linee del traguardo, cifre e codici obsoleti, criptati, colori e maglie, percorsi e fischi dell’arbitro.

La televisione, come più di una volta ha osservato un grande esperto come il professore Aldo Grasso, permette sempre una crescente spettacolarizzazione dell’evento sportivo che lo rende molto diverso, se non ingrandito, migliore e più avvincente, rispetto a quello effettivamente giocato in diretta. Tantissimi sono gli elementi che lo trasformano: le immagini e la loro qualità, il punto di vista della ripresa, le emozioni del gioco raccontate minuto per minuto, la voce di chi le rende così avvincenti, le curiosità e le statistiche che completano la cronaca, gli interventi esterni, i commenti a caldo, la professionalità

Ma come si fa una telecronaca? È necessaria davvero una voce? Per assurdo, per molti anni è prevalsa la tesi secondo cui le voci non servissero, che quella degli esperti fosse pleonastica, perché non fa altro che dire ciò che si vede già con i propri occhi. Ma, se questa non ci fosse, si assisterebbe ad un effetto di straniamento tale da far comprendere quanto sia importante. All’inizio, la lingua usata dai telecronisti si avvicinava moltissimo a quella della carta stampata: tantissime, infatti, erano le figure retoriche presenti, come la perifrasi o l’uso spasmodico di iperboli. Adesso, invece, si è sviluppato tantissimo il tecnicismo e il pragmatismo: la telecronaca a due voci, con un esperto pronto a dar manforte alla voce principale.

Ma se c’è davvero qualcuno che possa dire la sua in merito alla telecronaca sportiva, allora quello è Pierluigi Pardo. Uomo di punta di Premium Sport, conduttore del programma di Italia 1 Tiki Taka, è uno dei più grandi esperti di telecronaca calcistica.

Tra strumenti pratici, nozioni e informazioni, quanto ci si deve preparare prima di una partita?

La partita si prepara con qualche documento: c’è il foglio partita, che contiene dati tecnici, informazioni sulle squalifiche dei giocatori, alle statistiche della squadra. I file aggiornati descrivono altre nozioni, come tutti i dati in merito agli scontri del passato tra le due squadre, le informazioni sull’arbitro, i numeri da raccontare. Infine i file giocatori che si aggiornano di volta in volta. Ad esempio, per ogni calciatore c’è una voce che lo racconta: i club in cui ha giocato in passato, l’esordio in campionato, gli episodi che l’hanno reso celebre.

Come gestire le difficoltà? Sviste, errori, collegamenti che non partono.

La tua preoccupazione più grande è il racconto della partita vero e proprio. Possono accadere alcuni episodi simili, ma il focus rimane ciò che accade in campo. Il tutto è poi condito da collegamenti, bordo campo, commenti a fine primo tempo. La telecronaca della partita inizia tutta dall’introduzione. E l’entusiasmo di chi racconta deve farsi sentire forte e chiaro. Tutto il resto viene da sé: la partita si racconta con il play by play continuo. Ciò che differenzia la cronaca televisiva dalla radiocronaca è che devono mancare le indicazioni di luogo: niente “destra” o “sinistra”, o precisazioni simili.

Telecronache faziose, quanto servono e quanto no?

Io, personalmente, non le ascolterei mai. Semplicemente perché si tratta di gusti. Certo, sono tipologie di nicchia, e questo posso capirlo. E le telecronache faziose poi sono state il successo di alcuni giornalisti che hanno fatto di quelle la loro carriera.

Come si riesce a gestire il tifo personale?

Si gestisce, e basta. L’unico piccolo “coinvolgimento” può essere in Champions League o competizioni simili, quando giocano le italiane contro le straniere. Ma si tratta solo di patriottismo, non di tifo vero e proprio. Come anche la Nazionale. Questo non vuol dire essere “disonesto”, o fare una telecronaca scorretta, ma avere solo una piccola prospettiva sull’evento.

Quanto conta avere un proprio stile di telecronaca?

È importante, ma senza esagerare con i tormentoni. Lo si fa per creare una specie di fidelizzazione, un marchio, una forma stilistica unica che permette a tutti di riconoscerti. Ognuno ha il proprio stile. Questo rende la telecronaca una piccola opera d’arte, una vera prestazione artistica. Questo, naturalmente, accompagna la componente giornalistica che è la più importante. Ci sono, infatti, buoni telecronisti che magari non sono buoni giornalisti, o viceversa. Tu rimani comunque un tramite per chi ti ascolta, deve esserci passione in quello che fai e che dici. Come se fosse una cosa che ti piace e che fai quindi con piacere.

Che consigli possiamo dare a chi vuol diventare telecronista?

Concentrarsi sulla partita, sul play by play. Riconoscere i giocatori e raccontare tutto con precisione. Esercitarsi molto, moltissimo. Modulare bene la voce, dare enfasi e insistenza quando serve. Avere ritmo e gestire le pause, i silenzi e il respiro. Senza esagerare mai. Accelerare il tempo quando la partita è più avvincente ed evitare di dar indicazioni di luogo. Preparare 100 cose per dirne 5. I dati, infatti, ha senso dirli solo quando serve e quando dicono qualcosa.