Parliamo di leadership.
Non so quali delle due frasi vi abbia colpito di più tanto da spingervi a leggere: “Il mio capo è una bestia” o “esistono più teorie sulla leadership…
Se siete fra i primi probabilmente sarete impiegati in aziende di piccole-medie dimensioni, nel caso della seconda dovreste essere già a un livello superiore in aziende medio-grandi o multinazionali.

Ciò che non cambia e che unisce indistintamente tutti, resta però il concetto di “capo”. O leader (a seconda che il vostro datore di lavoro preferisca esprimersi in bergamasco stretto, romano de borgata o nel tipico italenglish delle grosse aziende).

Sta di fatto che ognuno di noi ha una sua idea di come vorrebbe il suo capo, mutuata dalla propria esperienza personale e professionale e probabilmente, se mettessimo insieme tutte le nostre esperienze ci potremmo scrivere un libro. Potrebbe essere il primo esperimento di co-booking (esiste?)

(presunti) “Coach” e (miseri) formatori negli ultimi 4 anni dalla crisi hanno scoperto questo magnifico filone della leadership con la quale stanno cercando di ridisegnare il profilo del leader, intuendo che la stragrande maggioranza dei capi si divide in due grosse macrocategorie:

a) schizofrenici senza strategia che urlano dalla mattina alla sera ordini senza senso e passano la metà del tempo a controllare che i loro ordini siano stati eseguiti e a verificare “di chi è la colpa” (in genere questi hanno letto i libri di Jack Welch)
b) smidollati dall’infanzia incompiuta, perennemente indecisi che cercano continuamente conferme al proprio potere, accontentando tutti, promettendo carriere impossibili, utilizzando tecniche di comunicazione mutuate alla scuola di Roberto Re, incapaci di prendere una posizione confortati da qualche libro (in genere amano molto quelli di Johnson Spencer, uno che ama spostare formaggi, far sciogliere iceberg e creare manager in un minuto. Che durano anche un minuto) che un buon capo è anche un bravo mediatore.

Sfortunatamente per tutti, non ci sarà coach o formatore che vi farà diventare un bravo leader.

Non basta il biglietto da visita che avete fatto stampare su carta lucida che vi farà da scudo quando le vostre decisioni saranno fallimentari. Non basteranno i dieci collaboratori che vi state portando dietro dall’azienda precedente (e facendo dunque licenziarne altrettanti, ben più competenti di voialtri messi insieme) al fine di avere uno stuolo di signorsì al vostro comando con cui difendervi da domande corrette di cui non conoscete le risposte.

Un buon capo coinvolge e fa sognare i propri collaboratori intorno ad un progetto. Dimostra che la strategia funziona perchè primo fra tutti è quello che schiaccia i bottoni per farla funzionare e qui, non c’è teoria sulla delega degli anni Ottanta che tenga. Se non dai l’esempio, nessuno ti seguirà. Un bravo leader quella parola li non la scrive sul suo titolo aziendale; è una medaglia che gli viene riconosciuta dalla sua squadra per averla saputa gestire, ascoltare, ma anche scuotere. E’ quello che prende le decisioni, anche quando non sono sempre popolari e soprattutto quando sono in controtendenza da quelle che avrebbe preso la maggioranza. Se ottiene risultati è stato un innovatore, se ha fallito sa assumersene le responsabilità.

Creatività e mediazione non sono doti da leader. Sono le scappatoie proposte a chi sa di non avere capacità di strategia e di decisione sufficienti per guidare un gruppo o un’azienda.

Purtroppo, come dice il mio amico Max, ci sono più teorie sulla leadership che leader.