Qualche giorno fa, una ragazza di 18 anni si è fatta esplodere nel giardino del centro culturale di Suruc, cittadina turca al confine siriano, dove era in corso una conferenza sulla ricostruzione di Kobane. Tra le vittime, 30 morti e più di 100 feriti. Erano tutti volontari.
I media non hanno diffuso molto questa notizia, probabilmente non ne sapevate neanche niente. E il perché non è dato saperlo. Forse, ormai, un attentato kamikaze è quasi scontato, quasi all’ordine del giorno, che magari non tira neanche più come notizia. Non è dato saperlo. Ma sono due le cose che lasciano perplessi.
La prima è che la kamikaze avesse appena 18 anni, fosse già vicina all’Isis, nonostante la sua giovane età.
La seconda riguarda le vittime. Più di 300 volontari con il sorriso stampato sul viso e tanta voglia di rendersi utile per ricostruire la città di Kobane, liberata dopo mesi di assedio dei jihadisti dello Stato islamico.
Sarebbero rimasti fino a domenica e avrebbero voluto costruire una biblioteca, ripiantare un bosco, dedicare uno spazio ai bambini creando un grande parco giochi solo per loro. I loro buoni buoni propositi però sono stati interrotti da una loro coetanea, che ha deciso di stroncare la vita di alcuni di loro e di marchiare a fuoco quella dei sopravvissuti che non dimenticheranno mai quel maledettissimo giorno, in cui hanno perso i loro compagna davanti ai loro occhi, inermi.

credits photo: Madersahi Barajyikna
credits photo: Madersahi Barajyikna

Questo selfie è stato condiviso su Twitter da Madersahi Barajyikna, la ragazza sorridente in primo piano, accompagnata da una frase: “Io sono viva, sto bene, la ragazza con la maglietta bianca dietro di me è morta”. Insieme a lei, sono 29, gli altri ragazzi scomparsi.

credits photo: Madersahi Barajyikna
credits photo: Madersahi Barajyikna

La domanda sorge spontanea: cosa spinge una ragazzina di 18 anni a farsi saltare in aria?

Cosa spinge una ragazzina, appena all’inizio della sua vita, a volerne porre fine? Le motivazioni sono molteplici, e cambiano per ognuno di loro. Ma una piccola donna di quell’età non può pensare che a 18 anni sia giunto il momento di terminare la vita terrena. Perché quella è l’età dei sogni, dei progetti, della voglia di vivere, dei primi amori, della libertà.
Come fa una ragazzina, a quell’età, a sentirsi espressione di un movimento, l’Isis in questo caso, che porta solo odio e distruzione?

I bambini kamikaze non sono una novità nello spaventoso panorama delle guerre nel mondo. Ricordiamo tutti la piccola di 10 anni , che si è fatta saltare in aria uccidendo una ventina di persone in un mercato di Maiduguri, capoluogo dello stato nigeriano di Borno, mentre miliziani fondamentalisti islamici davano l’assalto a Damaturu, capitale del confinante stato di Yobe.

Ma è solo uno dei più recenti. Talebani, Iraniani, l’Isis, sciiti e sunniti estremisti usano i bambini come arma, proprio perché sono i più deboli. Dovrebbero essere degli esseri innocenti da proteggere, invece non hanno alcun valore. La strage della scuola di Peshawar in Afghanistan è stata fatta a sangue freddo. In Yemen uno scuolabus è esploso, sono state uccise almeno 15 scolare. Bambine ammazzate perché Al Qaida odia gli Houtis amici degli ayatollah. Bambine e bambini morti punteggiano la guerra islamista. Il risultato è sempre lo stesso: strage di innocenti. Perché dei bambini non possono avere alcuna colpa, non hanno vissuto abbastanza per commettere qualcosa per cui anche solo lontanamente possano essere colpevoli, e meritare tutto questo.

I bambini dovrebbero solo essere protetti, amati e istruiti. Il loro unico compito dovrebbe essere andare a scuola, imparare a leggere e a scrivere, per non dover dipendere da nessuno in futuro, conoscere la storia del proprio paese e degli altri, imparare da ciò che le guerre hanno causato: sofferenza e dolore. Solo con i libri e con la cultura si sconfigge la violenza, non certo con altra violenza in nome di Allah. Date ai vostri bambini la possibilità di andare a scuola, di proseguire gli studi e formarsi come vorrebbero, per realizzare i loro sogni e vivere una vita felice. Qui sulla Terra. E non in qualche emisfero oltre-vita. Cosa ci sia dopo la morte nessuno lo sa. Potrebbe esserci il paradiso, l’inferno o un altro mondo. Ma la certezza è solo una: questa vita. Non sarebbe bello poterla vivere senza più odio, sofferenza e stragi simili? O almeno farla vivere ai bambini, come dovrebbe essere. I bambini non si toccano.

[Credits Cover: Ozcan Soysal/Depo/Reuters]