Il successo di una serie tv non si può misurare soltanto dallo share e dalla capacità di attirare commenti ed interazioni sui social network. Questo l’assoluto da cui parte la sfida di Mozart in the Jungle, lampante esempio di un prodotto di qualità destinato per forza di cose a restare di nicchia pur non volendolo; sbagliato però definirlo snob o volutamente raffinato, la sua forza sta invece proprio nell’atmosfera leggera e “pop”. Nel grigio zapping estivo si mostra come una delle più piacevoli scoperte del palinsesto televisivo, in onda su Sky Atlantic il Giovedì in prima serata con due episodi. Prodotta dal colosso Amazon, Mozart in the Jungle raccoglie la sfida di portare sul piccolo schermo la musica classica raccontando le vicende dell’Orchestra Filarmonica di New York; immaginare un’intera serie che ruoti attorno a sinfonie di Beethoven e Wagner è quasi impossibile, inserirli poi in un contesto tanto frenetico quanto inflazionato quanto quello della “Grande Mela” rende il prodotto un piccolo grande gioiello di rara bellezza.

[Photo Credits: Amazon Studios]
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Non c’è dubbio che gran parte del successo della serie spetta alla straordinaria interpretazione di Gael García Bernal; l’ex attore prodigio, giovane Che Guevara ne “I diari della motocicletta”, mostra la sua ecletticità nell’interpretare il direttore d’orchestra Rodrigo De Souza, figura tanto bizzarra quanto carismatica in grado di dare nuova luce ad un’istituzione ormai antiquata. La bravura di Bernal sta nell’aver saputo vestire i panni di Rodrigo conferendogli da una parte l’istrionismo tipico di un grande artista, dall’altra la volubile anima fragile di un anti divo che tenta di spezzare le catene della fama che lo circondano alla continua ricerca dell’essenza della musica che dirige. Complici le sue capacità di “vivere” il personaggio in pieno e la sceneggiatura che permette di apprezzarlo senza però essere interamente costruita attorno ad un solo protagonista, la scelta sembra essere più che vincente. Ma la forza è, come detto, quella di un cast corale, impreziosito dalla presenza di Malcom Mc Dowell; il suo sguardo profondo riesce a catturare come quando, giovane drugo, faceva scorribande col personaggio di Alex nel capolavoro di Stanley Kubrick “Arancia Meccanica”. Le rughe contornano il suo volto, i capelli ormai non sono più quelli biondi e lunghi di un tempo, ma la capacità di affascinare, quella si è restata intatta. Mc Dowell rappresenta in un certo senso l’antagonista di Rodrigo, l’ex direttore “spodestato” dalla giovane star, in uno scontro generazionale tanto cruento quanto spettacolare, in un vortice di orgoglio ed amore per la musica che rendono di fatto i due più vicini di quanto pensassero. Il personaggio femminile principale invece è interpretato da Lola Kirke; un poco schiacciata dalla grandezza dei due colleghi, in realtà la sua Hailey, giovane oboista ed assistente del direttore d’orchestra, fa da filo d’unione nella storia. Il libro a cui è ispirata la serie infatti parte proprio da lei, raccontando le vicende autobiografiche di una donna che ha suonato nella New York Philarmonic. Il resto del cast, è uno mosaico meraviglioso di piccoli ruoli costruiti ad arte che raccontano vizi e tic dei musicisti dell’orchestra, dalla necessità di fare pause di continuo durante le prove a quelle di sindacare sulla temperatura del termostato in sala.

[Photo Credits: Amazon Studios]
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Vedere i musicisti sedersi in un quartiere malfamato della città ed iniziare ad eseguire Tchaikovsky è un’immagine di una bellezza straziante. Osservare poi lo sguardo di Rodrigo che sembra poter essere in pace con se stesso soltanto quando dirige dà l’idea di star assistendo ad una musica che assume un significato più grande e nobile. Mozart in the Jungle è questo e molto altro, una serie volutamente “normale” e che perciò risulta provocatoria, un prodotto tanto raffinato da sembrare artefatto che d’improvviso si colloca su un piano più basso in un continuo sali scendi tra la solennità della colonna sonora e i difetti dei protagonisti. Che piaccia ai critici non è per forza di cose garanzia di bellezza, ma che, in un panorama a tratti desolante per la pochezza riesca ad essere innovativo, quello invece è sicuramente qualcosa di importante. Probabilmente non avrà ascolti paragonabili con i le grandi serie tv, nè tantomeno se ne parlerà a lungo, ma di fatto il suo più grande successo sta nel convincere molti che è un vero peccato che ogni episodio duri soltanto 26 minuti.

[Cover Credits: Amazon Studios]