Nel 2013 il mercato discografico italiano aveva presentato le prime avvisaglie di ripresa, facendo misurare dati positivi dopo undici anni consecutivi marcati dal segno meno. Il 2014, però, sembra rappresentare l’anno della svolta per la musica in Italia: secondo i dati certificati da Deloitte e pubblicati dalla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), l’anno appena trascorso ha fatto segnare un incremento del 4% e un fatturato di 122 milioni di Euro al sell in.
Il trend positivo registrato nel 2013 aveva invertito la tendenza di più di un decennio di crisi nera. Quel piccolo incremento, + 2% sul 2012, pari a 117,7 milioni di euro fatturati in sell-in (vendite effettuate dalle case discografiche ai rivenditori) aveva riacceso un barlume di speranza tra gli addetti ai lavori. Se da una parte si registrava un rallentamento nella vendita di supporti fisici (- 5%) dall’altra si annotava l’importante crescita del settore digitale, + 18% per una quota complessiva che saliva al 32% del giro d’affari globale dell’industria. Un segnale che puntava dritto sul futuro.
Il 2014 ha rappresentato una piacevole conferma e ha marcato ancora di più le orme che il mercato musicale tricolore intende seguire. Il +4% registrato negli ultimi dodici mesi è frutto di una forte azione di traino dei servizi streaming (come quelli offerti da, tra gli altri, Deezer, Google Play, Spotify, Tim Music, Vevo e YouTube) che, grazie a una crescita di 10 punti in una solo stagione, oggi rappresenta il 22% del mercato complessivo. Un incremento totale di oltre l’ottanta per cento rispetto al 2013: un +84% per i servizi sostenuti da pubblicità contro un +82% per quelli in abbonamento.
Il supporto fisico, seppur in contrazione (-5% rispetto al 2013), rappresenta ancora la frazione maggioritaria del mercato con una quota pari al 62%. Una menzione speciale la merita sicuramente il vinile che, nel Belpaese come in quasi tutti gli altri paesi occidentali, sorprende con un incremento dell’84% rispetto all’anno precedente: una quota di mercato del 3% che sa di amore per il vintage e che trasforma un fenomeno di nicchia in un business di tendenza.

In un quadro che vede il digitale come locomotiva della musica e del mercato discografico, il download si pone in vera e propria controtendenza. Se si pensa che solo qualche anno fa fosse declinato come il futuro della fruizione musicale, la contrazione del 15% del volume d’affari connesso a mp3 e affini, registrata nel solo nel 2014, sembrerebbe un vero e proprio tracollo: dal 62% del mercato discografico digitale italiano del 2013 al 43% del 2014. Risultato che fa da contraltare al 57% rappresentato dallo streaming, per una somma complessiva del segmento digitale che avanza al 38% rispetto al 32% dell’anno precedente.
È evidente, quindi, che l’impatto dello streaming è molto forte e stia segnando una direzione netta che vedrà le piattaforme che offrono tali servizi sempre più utilizzate e protagoniste di un ennesimo cambiamento digitale. Una fetta maggiore della torta se l’aggiudicherà, senza dubbio, chi sarà capace di fornire un’offerta molto variegata e particolarmente profilata sull’utente, assecondandone gusti e passioni e rendendo l’accesso a pagamento un’esperienza unica e tagliata su misura. È tuttavia possibile che anche il supporto fisico possa continuare a fare la sua parte e trattenere la fetta più importante del mercato. La partita si giocherà sul prezzo all’utente finale e sul plus emozionale: da una parte, infatti, un prezzo equo garantirebbe una maggiore accessibilità all’acquisto da parte di una più vasta platea; dall’altra, dare un valore aggiunto che possa puntare ad appassionare il pubblico legandolo a un oggetto che vada oltre il semplice CD (cofanetti, edizioni speciali, ecc.), garantirebbe una diffusione quantomeno parallela del supporto fisico rispetto a quello digitale. Perché la musica, alla fine, è pur sempre emozione.
[Cover source: boingboing.net]