Occhi verdi, lunghi capelli scuri, una straordinaria bellezza mediorientale, una voce da pelle d’oca: si chiama Mutlu Kaya ed ora è ridotta in fin di vita da uno sparo alla testa. Chi sia stato ancora non si sa, ma tutti gli occhi sono puntati sul fidanzato e sui parenti del padre che non volevano che lei si esibisse in tv, in un programma che noi chiameremmo “Italia’s Got Talent”. Perché effettivamente Mutlu è un talento, la sua voce l’ha resa speciale ma le ha anche quasi tolto la vita. Per i fondamentalisti islamici è sconveniente che una donna appaia in televisione a braccia nude, con uno splendido vestito, per cantare un bellissimo brano tradizionale: va punita per questo. Non c’è da stupirsi però; secondo il vicepremier turco Bülent Arınç, dirigente del partito islamico Akp, le donne non dovrebbero nemmeno ridere ad alta voce in mezzo alla gente.
La performance di Mutlu a 2 minuti.
Una punizione per la sua volontà di indipendenza? Forse. Ma i parenti allontanano ogni tipo di sospetto, dicendosi ai media orgogliosi delle scelte della diciannovenne curda. I sospetti della polizia turca, che si sta muovendo con decisione avendo gli occhi dei giornali internazionali addosso, puntano invece sul fidanzato di Mutla, il ventiseienne Veysi Ercan, che nei mesi scorsi era stato denunciato dalla ragazza stessa per minacce. “Non volevo che si esibisse in tv e abbiamo litigato spesso per questo. Ma non le ho sparato io” sostiene il fidanzato ma la sua versione dei fatti non torna.
E allora, se cadono le tradizioni restrittive di un Paese arretrato che non vuole l’indipendenza della donna perché “uomo e donna non sono uguali” ma si tratta bensì del gesto egoistico di un uomo, questa storia comincia ad assomigliare molto di più alle tante tragedie che accadono anche in Italia. Il femminicidio non c’entra con le leggi, con i Paesi o con le religioni; c’entra con l’idea folle e radicata nell’uomo, inteso come maschio, che la donna è una sua proprietà, un “qualcosa” creato per lui, per soddisfare le sue necessità, per renderlo felice, per seguirlo sempre e comunque. La donna, in questo universo, non ha vita propria senza di lui, non ha obiettivi, non ha desideri, non ha volontà diversa dalla sua ma soprattutto non ha motivo di esistere senza di lui.
Secondo l’Associazione per i diritti umani in Turchia, nel 2014, sono state uccise 296 donne, mentre ne sono state ferite 776 e 142 hanno denunciato violenze e stupri. In Italia i dati sul femminicidio non sono così diversi: dai 124 del 2012 si è passati a quasi 177 casi nel 2013 e gli ultimi dati statistici dell’anno 2014 appena concluso confermano il trend aggiornandolo a una media di una vittima ogni 3 giorni. Due Paesi all’apparenza così diversi, da una parte la Turchia islamica e arretrata sull’indipendenza femminile mentre dall’altra l’Italia che appare come una nazione evoluta, civilizzata e che dovrebbe proteggere le diversità e la libertà, eppure così vicini in termini di dati sulle uccisioni delle donne.
In Italia le donne portano gonne corte, pantaloncini e canottiere, lavorano (anche se in questo caso ci sarebbe tutto un altro capitolo da aprire) e appaiono in televisione: per ovvie ragioni gli italiani si scandalizzano per la costrizione nei Paesi islamici tra le donne di portare il velo, non avere un lavoro ed essere sottomesse alla volontà dell’uomo, capofamiglia. I dati però mostrano un’Italia che ammazza le donne come e quanto in Turchia. Quindi la differenza dove sta? L’apparenza inganna fin troppo: non è l’esteriorità della donna che bisogna far evolvere bensì la concezione che la società ha di lei.
[Fonte Cover: www.flipboard.com]