Giovedì scorso,4 settembre, Davide Bifolco, un ragazzo di 16 anni, è stato ammazzato a Napoli con un colpo sparato da un carabiniere: era su un motorino con altre due persone e non si erano fermati all’alt. La vicenda è al centro di molte attenzioni, discussioni e polemiche da giorni: lunedì 8 settembre sono iniziati gli accertamenti sul cadavere del ragazzo (radiografie e Tac), martedì 9 è stata effettuata la risonanza magnetica e mercoledì 10 l’autopsia e l’esame balistico alla presenza dei periti di parte della famiglia. I risultati degli accertamenti hanno aiutato a capire finalmente la dinamica dei fatti, considerato che eravamo in presenza di due versioni contrastanti: quella del carabiniere che ha sparato, e che è stato accusato di omicidio colposo, e quella dell’avvocato della famiglia Bifolco raccolta attraverso diverse testimonianze.
Cosa si sa
Nella notte tra giovedì 4 settembre e venerdì 5, intorno alle ore 2.30, c’è stato un inseguimento in via Cinthia, nel quartiere Traiano di Napoli, tra un motorino Honda SH su cui si trovavano tre persone e un’auto con due carabinieri del Nucleo Radiomobile di Napoli. Di sicuro sul motorino si trovavano Davide Bifolco e Salvatore Triunfo (un ragazzo di 18 anni con precedenti penali). I carabinieri hanno intimato alle persone sul motorino di fermarsi ma queste non hanno obbedito. Già a questo punto (e anche sull’identità della terza persona sul motorino) ci sono due differenti versioni. Il punto fermo è che alla fine è stato sparato un proiettile dall’arma di uno dei carabinieri e che ha colpito Davide Bifolco. Il ragazzo è stato trasportato subito all’ospedale San Paolo ma è morto poco dopo il ricovero. Salvatore Triunfo è stato ammanettato e il terzo uomo è invece riuscito scappare.
Immediatamente in seguito alla diffusione della notizia – quella generica che un carabiniere aveva sparato a un ragazzo di 17 anni – sono sorte manifestazioni per le strade di Napoli, durante le quali alcune auto della polizia sono state danneggiate. I cortei, più pacifici, si sono svolti anche nei giorni successivi.
La versione del carabiniere
Secondo la versione fornita dal carabiniere che ha sparato, intorno alle 2.30 della notte tra giovedì e venerdì lui e il suo collega hanno identificato Arturo Equabile, un ricercato che era scappato dagli arresti domiciliari, su uno scooter Honda SH, seduto in mezzo ad altre due persone: quella stessa notte uno dei comandanti di squadra del Nucleo Radiomobile aveva indicato alla pattuglia di turno in quel quartiere che il ricercato si trovava per strada su uno scooter di quel tipo. I carabinieri hanno dunque intimato ai tre ragazzi di fermarsi, inutilmente però. A quel punto c’è stato un inseguimento nel quale i tre ragazzi sono finiti contro un’aiuola e sono caduti.
Uno dei carabinieri ha inseguito il presunto latitante, che è però riuscito a scappare e che non è ancora stato ritrovato. Il secondo carabiniere, con l’arma di ordinanza senza sicura nella mano destra, è invece sceso dall’auto per fermare gli altri due ragazzi. Nel tentativo di bloccare Triunfo con la mano sinistra, il carabiniere è inciampato: a quel punto è partito in modo accidentale il proiettile che ha colpito al torace Bifolco, che stava in quel momento cercando di rialzarsi da terra.
In base a questa versione la traiettoria del proiettile dovrebbe essere diagonale dall’alto verso il basso. Il fatto che il carabiniere impugnasse la pistola col colpo in canna e senza sicura sarebbe – secondo l’avvocato difensore – previsto dal regolamento dell’Arma per interventi di quel tipo. Martedì, in un’intervista a Repubblica, il carabiniere che ha sparato ha dichiarato:
«Se avevo il colpo in canna, quella notte, è perché io e il mio collega inseguivamo un latitante. Non sono mai stato un Rambo, non ho mai neanche immaginato di puntare una pistola. Sono inciampato, quella notte, mentre bloccavo l’altro giovane che si divincolava. Se si fa una perizia si vedrà che c’è il gradino».
La versione della famiglia Bifolco
Fabio Anselmo, già legale della famiglia Cucchi e ora avvocato dei familiari di Davide Bifolco, ha fornito una versione in contrasto rispetto a quella del carabiniere. L’avvocato ha effettuato indagini per conto proprio con la raccolta di almeno sei testimonianze secondo le quali emerge che i carabinieri avrebbero urtato lo scooter e sparato volontariamente ad altezza d’uomo, prendendo al cuore Davide Bifolco. La famiglia di Davide ha anche divulgato su Facebook delle foto del cadavere del ragazzo come prova di questa tesi.
La terza persona sul motorino non sarebbe stata Arturo Equabile ma Enzo Ambrosino, un ragazzo che, intervistato dai giornalisti, ha affermato spontaneamente di trovarsi sul motorino inseguito dai carabinieri. Ambrosino, però, non si sarebbe ancora recato dagli inquirenti per far verbalizzare questa versione. I tre ragazzi non si sarebbero fermati perché non erano in possesso del patentino e perché il motorino mancava dell’assicurazione.
Tra i documenti raccolti dall’avvocato Anselmo figurano anche le riprese delle telecamere posizionate all’esterno e all’interno di una sala giochi situata a una decina di metri dal luogo dove si è verificato l’inseguimento. Vedendo le immagini, si nota un carabiniere che entra nel locale e che, con in mano una pistola, intima alle persone presenti di stare ferme con le mani in alto. Secondo l’avvocato Fabio Anselmo, le immagini «dimostrano in maniera eloquente lo stato psicologico in cui si trovava quel carabiniere in quel momento». I carabinieri affermano invece che quel militare non sia quello che ha sparato a Bifolco, ma il suo compagno che cercando Equabile lo avrebbe trovato nella sala giochi.
Conferma di questa versione arriva da Salvatore Triunfo, uno dei ragazzi che era sul motorino, già sentito dal pubblico ministero la sera stessa della uccisione di Bifolco.
Una città divisa
A distanza di una settimana Napoli è divisa in due fisicamente per una protesta per il lavoro ma don Manganiello, prete di frontiera si lancia contro la città chiedendo ” Perchè nessuno è sceso in piazza a danneggiare le macchine dei camorrisisti che ammazzano napoletani innocenti?”
Una Napoli noir con un senso di morte che avvolge. Morte civile e vite spezzate. Sentimento di paura che influisce molto? “Probabilmente -prosegue don Aniello Manganiello-non ci sono cittadini che collaborano per individuare i sicari di omicidi mirati ma alle tre di notte spuntano al rione Traiano diversi testimoni. Attenzione a non insabbiare le prove, a inquinare l’accertamento dei fatti. Napoli sta perdendo inesorabilmente la percezione della legalità“. Il grido d’allarme di questo prete di frontiera.
Una Napoli che protesta, che si ribella pretendendo giustizia e verità sulla morte del giovane Davide. Da diversi giorni Napoli è bloccata da cortei non autorizzati che impediscono il passaggio nelle gallerie. In strada amici e familiari e il loro manifestare fa andare in tilt il traffico senza che nessun uomo in divisa faccia nulla. E’ l’emblema di uno Stato col senso di colpa che lascia fare osservando impotente. Un’apparente supremazia del dolore ha messo all’angolo politica e istituzioni.
In tutto questo spicca una bella immagine: martedì pomeriggio il comandante provinciale dei carabinieri, Marco Minicucci, che, in divisa, si leva il cappello in segno di dolore e vicinanza per la morte del ragazzo quando il corteo dei giovani giunge in piazza Salvo D’Acquisto.
Sarebbe auspicabile che questo serva a stipulare una tregua. Ma tregua tra chi? ” Un conto è pretendere che dalle forze di polizia che hanno il monopolio della violenza legittima un assoluto autocontrollo, e dunque è giusto criticare lo Stato quando viene perso l’autocontrollo. Un altro è assumere come bersaglio lo Stato e le sue articolazioni. Sento come uno smottamento, uno scivolone verso un crinale eversivo” Sono le parole del filosofo Roberto Esposito, coscienza critica di questa città alla deriva, che non lesina immagini forti, giudicando ciò che sta succedendo al rione Traiano e più in generale a Napoli dopo l’uccisione del giovane Davide Bifolco “Questa protesta che monta e sulla quale soffia un certo garantismo– continua- rischia di esser strumentalizzata dai fiancheggiatori dei poteri criminali. La spirale che si è innestata è senza via d’uscita.Napoli non può più tollerare la contaminazione della violenza“.
C’è anche chi definisce la situazione creatasi una vera e popria “guerra“, come Paolo Siani, fratello del giornalista Giancarlo, ammazzato dalla camorra a metà degli anni Ottanta. “A Napoli ci sono almeno cento famiglie che piangono i loro cari vittime innocenti degli errori sanguinari della camorra“.
Una camorra che ha mutato atteggiamento col passare degli anni. I boss in carcere, i pentiti e i morti ammazzati hanno generato un notevole cambiamento sia dal punto di vista generazionale che culturale. Il procuratore aggiunto del pool dell’antimafia con competenza su Napoli, Filippo Beatrice, prova a smorzare i toni: “Non parlerei di città in guerra, ma quello che fa la differenza tra Napoli e le altre città è l’alto tasso di violenza. Sì, Napoli è una città violenta. Le famiglie esistono ancora. Le redini dei clan le hanno ormai in mano le ultime generazioni, i giovani ventenni violenti“.
Il famoso scrittore Raffele La Capria premette, invece, di esser comprensivo verso la sua città: “Sono molto indulgente perchè gli altri sono molto severi“. Il suo è un atto di fede verso la sua città: “Napoli dovrebbe ricevere il premio Nobel per la sopravvivenza. Si arrangia con grande intelligenza e umanità. E’ una città vivace, cordiale, amabile. Quello che è accaduto a rione Traiano è una reazione impropria che non sorprende. E’ l’antica legge che vuole lo Stato oppressore e il camorrista difensore. Le reazioni alla morte del ragazzo hanno spiegazioni lontane e complicate. Napoli è un po’ abbandonata a sè stessa, alle sue pulsioni. Città esclusa che si sente abbandonata. E’ sconfortante anche azzupparci il pane per aumentare la desolazione di Napoli“.
Sparatorie, imboscate. La camorra di oggi mostra segni di un nuovo gangsterismo metropolitano, molto differente, tuttavia, dai gruppi multietnici delle metropoli degli States. “Qui la cultura mafiosa è talmente radicata– spiega il procuratore aggiunto Beatrice- che non è più sufficiente l’azione di contrasto. C’è bisogno di una formazione della città partendo dalle fondamenta, dalla scuola“.
In conclusione, si può affemrare che Napoli assomigli al serpente che si morde la coda perchè c’è sempre un risveglio delle coscienze, dettato da buoni sentimenti, grande umanità e desiderio di riscossa. Poi, però, in maniera quasi inevitabile, si torna al punto di partenza: perchè Napoli non si ribella alla camorra? Forse perchè riesce a dare quei servizi che non provengono dallo Stato e quindi risulta comodo appoggiarsi all’associazione mafiosa? Lo Stato dovrebbe riflettere prima che sia troppo tardi e che un’altra generazione venga sprecata.